Senza Adamo

By on Mag 11, 2014 in Scienze

La sola cosa spiritosa è il titolo: “Senza Adamo. Breve storia dell’evoluzione umana” (G. Biondi, O. Rickards, Carocci editore). Il resto del volumetto è un’elencazione inevitabilmente abbastanza opaca e burocratica di linee evolutive, specie speciazioni degli ultimi sei milioni di anni. Leggerlo è tuttavia un utile esercizio di umiltà e di “buone pratiche” d’indagine mentale.

In primo luogo perché la paleoantropologia è tra le più fiere nemiche della metafisica e delle pippomanie ideologiche in genere: se i ritrovamenti mettono in discussione la dottrina, è quest’ultima che cambia e non viceversa, come troppo spesso è avvenuto nel corso della storia. Pragmatismo che, unito a un altrettanto grande livello di libertà intellettuale, ha consentito di comprendere la realtà per quella che è, e non per come qualcuno – in verità più d’uno – ha desiderato e continua a desiderare che sia.

Se poi la libertà di pensiero riceve aiuto dalla tecnologia (leggi: antropologia molecolare) i fatti non sono più discutibili, perché sono fatti, appunto, e non teorie o supposizioni. L’antropologia molecolare si basa sullo studio e sul confronto del DNA nucleare e mitocondriale dei fossili, delle popolazioni viventi e delle altre specie animali; grazie ad essa nel 1987 è stato finalmente risolto il problema della nostra origine:

Ergo, se vivo in un’area australe del mondo sarà più vantaggioso avere un colorito più scuro; viceversa se vivo in un’area boreale, la pelle chiara consentirà la produzione della vitamina D.

Il capitolo più singolare e più commovente di questa storia è quello che riguarda la famosa questione morale. Anche qui l’ideologia ha cercato di metterci la sua pezza, teorizzando che questa capacità sia esclusivamente umana, e più specificatamente di origine divina. Anche in questo caso le evidenze prodotte dalla ricerca smentiscono: anche i Macaca rhesus, scimmie non antropomorfe, si rifiutano di prendere il cibo se questo atto pur indispensabile per la loro sopravvivenza provoca dolore a un loro simile rinchiuso in una gabbia vicina alla loro. Comportamento che dura tanto più nel tempo quanto più è la comunanza che lega fra loro i soggetti utilizzati nell’esperimento. (Proprio come facciamo noi: per un membro della nostra famiglia siamo disposti a sacrificare molto; via via molto meno man mano che i legami relazionali diventano più vaghi).

La scintilla divina non c’entra. E’ piuttosto l’evoluzione (il percorso evolutivo del caso e della necessità) che spinge le scimmie antropomorfe più evolute a prendersi cura empaticamente dei soggetti più deboli, più piccoli e più spaventati. Legare la morale all’empatia sociale, alla capacità di cooperare e di fare gruppo, ha quindi senso, perché spiega molto bene il vantaggio che hanno ricavato gli animali che nel corso del tempo ne sono stati dotati.

PS

Il fatto siamo che discendiamo tutti da un’antenata comune e abbiamo compiuto un percorso iniziato 6 milioni di anni fa quando la nostra linea evolutiva si è separata da quella degli scimpanzé, non ci obbliga a risultarci necessariamente – tutti e sempre – simpatici.

La cosa più triste del politically correct è il suo fallimento: pur attentando costantemente alla qualità degli spettacoli di cabaret, non ha annullato neppure grammo del razzismo che avvelena il mondo. Come sarebbe divertente se potessimo dare sfogo alle nostre ubbie, capricci e antipatie aprioristiche su base rigorosamente personale: mi stai sulle scatole perché mangi l’aglio, perché ciabatti per strada, perché sei noioso e severo, perché fai casino, perché ne fai troppo poco, perché vesti di nero, perché vesti colorato… eccetera eccetera, in un libero, sereno, assurdo delirio di giocoso sfottò. Lo stesso che farebbe affermare agli antropologi livornesi che sì, discendiamo tutti dalla stessa proto-donna, meno i pisani naturalmente.