Sono un lettore dilettante. Leggo per godere. Mai comprato un libro perché vincitore di un premio, sempre prediletto il catalogo alle “novità”. Mai comprato un libro promosso dalla recensione di un altro scrittore. Sempre seguito l’estro, il caso, la nota a margine di un amico, la menzione di un perfetto sconosciuto nei confronti del quale ravviso un’ipotesi di affinità.
Non tutti i libri sono calze di lana o camicie di lino che si acquistano in base alla stagionalità. I migliori, i più sorprendenti, sono quelli che scegliamo pensando possa nascere una relazione. Non importa se non li leggiamo subito. I libri sono come il vino, vanno fatti maturare. Solo il tempo ci dirà se valgono il nostro tempo, risorsa non rinnovabile. Ci sono libri che hanno atteso venti o trent’anni fiduciosi che prima o poi li avremo ascoltarli.
Ci sono libri che abbiamo aperto e rinchiuso una, due, dieci volte. Non era tempo. Non eravamo pronti. Poi un giorno, un’epifania: la divinità si manifesta; e leggendo ci chiediamo perché abbiamo così a lungo atteso, così a lungo rimandato quell’incontro che ci sta cambiando la vita. Ci sono libri che abbiamo evitato di comprare. Li abbiamo ignorati per fastidio e dispetto: erano sulla bocca di troppi, parevano il risultato perfetto degli uffici stampa, e forse lo erano. Poi un giorno l’impazzamento dei preti che sparano incarcerano torturano impiccano chi non la vuole pensare come loro vogliono si pensi diventa insostenibile e allora leggi “Leggere Lolita a Teheran”, libro che non avresti mai pensato di leggere.
E scopri che le storie di Azar Nafisi non sono diverse da quelle che racconta Iosif Brodskij in “Fuga da Bisanzio”. Sono trascorsi cinquant’anni e non c’è differenza tra l’orrore iraniano e quello sovietico se non l’indifferenza che proviamo per il primo e l’entusiasmo che nutrimmo per il secondo. Per un lasso di tempo che oggi ci appare infinito il carcere russo parve un paradiso agli oppressi di tutto il mondo; sedati gli entusiasmi terzomondisti una volta insediata la Guida Suprema, l’Iran è invece tornato ad essere quello che è sempre stato, una cosa lontana che non ci riguarda anche se scanna le donne e impicca gli omosessuali. Si sa che gli occidentali sono imbattibili nell’arte di confondere la pace con il quieto vivere.
Se non c’è differenza tra Polizia morale e KGB, tra l’orrore dei preti e quello dei cekisti, la diversità la fa la scrittura. Quella di Brodskij mi appare inarrivabile, tanto glaciale e perfetta è ogni sua frase. (Chissà se le scuole di scrittura, spurie figlie della compianta Radio Elettra Torino, lo additano a esempio; in verità sarebbe meglio come monito: ecco, sappiatelo, nonostante i dobloni che sborsate non scriverete mai come lui mai neppure un rigo). E qui, su Brodskij e sui grandi del Novecento il cui talento saggistico gareggia con quello poetico, c’è una quantità quasi infinita di cose da dire: nasce prima l’intelligenza critica la poesia?
Si legge per piacere, si scrive per ripensare quel che si è letto. Si spera nella memora involontaria, ché l’altra svapora pagina dopo pagina.