Strani scherzi

By on Ott 23, 2024 in Letteratura

 

flauto

 

Ho l’abitudine di leggere più libri contemporaneamente. Passo da un argomento all’altro come un tempo a scuola, quando le materie si succedevano senza soluzione di continuità. È un metodo avvincente quanto pericoloso. Con l’avanzare dell’età è sempre più concreto il rischio di smarrire la struttura dimostrativa che sorregge la tesi (o le tesi) del saggio che stiamo leggendo. Cosa ricorderemo dopo una settimana, un mese, un anno, è un mistero della fede. Ci consola il fatto che di norma ogni libro, anche il più luminoso, contiene un’idea, al massimo due. Quell’idea è come un punto forte fissato per l’eternità sulla lavagna della nostra coscienza; purtroppo gli aspetti più straordinari e più squisiti di un trattato, di un saggio, di un testo scientifico, “andranno persi come lacrime nella pioggia”. Ricordiamo perfettamente il concetto alla base di “Mimesis”, il capolavoro elaborato da Auerbach nelle difficili condizioni dell’esilio (“a Istambul non esistono biblioteche ben fornite per studi europeistici, le relazioni internazionali erano interrotte, sicché dovetti rinunciare a quasi tutti i periodici, alla maggior parte delle nuove ricerche, e talvolta perfino a un’edizione critica fidata dei testi”) e tuttavia non saremmo più in grado di “portarlo all’esame”, come si diceva un tempo: purtroppo abbiamo (ampiamente) scordato sia i singoli episodi del realismo letterario europeo, sia l’analisi degli stili condotta dal grande studioso tedesco.

Leggere in contemporanea offre però il vantaggio di guardare l’oggetto (gli oggetti) della nostra riflessione da più punti di vista, compiendo un esercizio di scomposizione dei concetti che ricorda il trucco della pittura cubista. Non sempre accade, e non facile. Ma se si rimugina su cosa si pensa di aver compreso, la lettura parallela (chiamiamola così) riserva parecchie sorprese. L’ultimo esempio viene da “La storia al tempo dell’oggi” di Francesco Benigno, saggio letto in parallelo al romanzo “Fotografie bugiarde” di Susanna Barta Birnberg.

“La storia al tempo dell’oggi” è un (disperante) saggio sullo stato della storia “in un tempo d’incertezza e di eclissi sul futuro”. Disperante, non mi viene in mente altra parola: Benigno ci invita ad arrenderci al fatto “che la storia è sempre un’interpretazione, e come tale, è inevitabilmente legata al contesto socio-politico in cui viene prodotta”. Un duro colpo per tutti quelli cresciuti nella certezza che la storia è una scienza e gli storici scienziati sociali. Secondo Benigno quel tempo beato in cui avevamo contezza che Cesare non morì di febbri puerperali, è finito per sempre. Scrive Benigno “è esistito un metodo condiviso di accertamento della verità, una lunga e interrotta tradizione occidentale di ricerca del vero tramite la prova che si può ricostruire e per così dire ripercorrere unitariamente dai Greci a oggi. Ma rispetto a questa tradizione l’obiezione fondamentale che è venuta maturando e poi si è affermata è che non esistono criteri universali di accertamento della verità, bensì vari metodi di approcciarla. Approcci culturali differenti, prodotti dalle società diverse che se ne sono servite: ed è interessante che nella cultura storica odierna il falso incontri un pubblico almeno tanto sensibile e interessato quanto il vero”. E poiché non esistono criteri universali di accertamento della verità, “che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino” come auspicava leggiadramente il presidente Mao premeditando l’epurazione degli oppositori. Quindi facciamoci coraggio amici nati nel secolo scorso, viviamo nel tempo delle saghe e leggende, molte delle quali raccolte sotto la voce “cultural studies”.

Mentre, per l’ennesima volta mi impegno seriamente a tentare di credere che non esistano fatti, né gatti e neppure interpretazioni, sull’altro lato della strada incontro Susanna il cui cognome è Barta Birnberg: un cognome doppio, un presagio, una storia nella storia. O forse, a pensarci meglio, quel doppio cognome è la storia. La storia che non ha bisogno di interpretazioni: quella storia che si manifesta nuda e cruda, come si diceva una volta, con la nudità e la crudezza – giusto per fare un esempio – dei campi di sterminio. Ci torneremo. O ci tornerà chi avrà voglia di leggere il romanzo.

“Fotografie bugiarde” è un’opera d’invenzione, è “fiction” come si dice oggi in neo-lingua: “vecchie fotografie sbiadite possono raccontare la storia di una famiglia? Come distinguere tra verità e finzione? Nel tentativo di riavvolgere il filo della storia, Hana e Miriam seguono diverse tracce: un faldone con l’autobiografia del padre, vecchi diari e qualche documento ingiallito.” Eppure leggendo il prodotto dell’invenzione narrativa in cui non è dato di distinguere il vero dal percepito, il soggettivo dall’interpretato, il vero dal verosimile, il fantasma dell’Europa bussa alla porta di noi che “viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, noi che troviamo tornando a sera cibo caldo e visi amici”. Ma che strano, un saggio sullo stato della storiografia ci getta nel dubbio e nello scompiglio; un’opera di fantasia riesce nel miracolo di restituirci l’orrore dell’Europa nella morsa dei totalitarismi, la paura di chi nato di etnia ebraica è costretto a mutare il proprio nome e negare la propria storia. Le letture parallele fanno davvero strani scherzi.