La vicenda di Simone Lenzi, l’assessore di Livorno dimissionato per eccesso di ironia, mi ha fatto tornare in mente una storia di qualche mese fa. Stavo riunito con i miei clienti preferiti, persone aduse allo star nel mondo, quando a metà d’un discorso il più giovane dei presenti s’è ricordato di una promessa e mi ha mostrato le ultime foto della sua bimba. Immaginatevi una piccina strabella, acconciata in modo graziosissimo e fotografata con una sapienza che al confronto la povera Chiara Ferragni ci spiccia casa, come ormai dicono anche a Brembate di Sopra.
Mentre ammiro la creatura, dal sen mi sfugge un commento sulla seconda più grande menzogna dell’umanità: “tutti i bambini sono belli”. Segue garbato imbarazzo dei miei ospiti. I quali, pur tuttavia, non possono esimersi dal sorridere quando rincaro la dote affermando che la ragione della loro oggettiva bruttezza deriva dalle fattezze dei loro genitori, ferrea conseguenza della morfologia biologica. E poiché mi piace vincere facile, concludo sostenendo che gli individui brutti si riproducono molto più di quelli belli. Questi ultimi figliano poco, o non figliano affatto, perché di norma sono pure (mediamente) benestanti. Un paradigma di (apparente) sapore vetero-marxista solido come la coda di una scimmia. (Perché ciò accada, ce lo spiega Andrea Graziosi nel suo “Occidenti e modernità” di cui parleremo un’altra volta).
Inutile nascondere che il garbato imbarazzo dei miei interlocutori mi ha dato da pensare sul wokismo trionfante ben al di là dell’originario alveo sinistro-sinistrese. Eppure al di là della contingenza, basta uscire un kilometro, un kilometro e mezzo al di là del perimetro delle ZTL e i corpi diventano segno immediato della condizione culturale prim’ancora che sociale. Come sa chiunque dotato di senso comune, non c’è nulla di più razzista del corpo. Con il talento e la tenacia puoi imparare il farsi, lo sci acrobatico e persino il pianoforte a quattro mani. Puoi mutare la tua condizione sociale, non il corpo. Cambierà dopo generazioni di buona alimentazione, di cure, di sport e ginnastica. In caso di dubbio, chiedere alle ragazzine di origine andina del loro sogno di essere alte e sfilate come le compagne di classe.
Così, mentre impera il vanaccismo degli ignoranti, mentre parole messe all’indice dal tempo e dal buon gusto trovano nuovo corso linguistico, l’ipocrisia etica è al lavoro per impedirci di riconoscere la realtà per quello che è, solo presupposto per poterla cambiare. Ricordo un libro di Nora Galli de’ Paratesi pubblicato tanti anni fa da Mondadori. S’intitola “Le brutte parole. Semantica dell’eufemismo”. Il saggio è “uno studio sull’interdizione verbale operata dall’inconscio, dal pregiudizio, dal pudore e dalla convenienza. Le parole ‘proibite’ nell’italiano, nei dialetti, nei gerghi. Una volta la censura funzionava su parole che riguardavano il sesso, la decenza, oggi si esercita sulle parole del politicamente corretto. Quindi, il potere coercitivo dell’eufemismo dipende dalla società”.
Mi sto ancora domandando cosa sia accaduto, dove sia finita la gloriosa sinistra libertaria, godereccia e sporcaccina (per intenderci: quella gioiosamente scema di “Porci con le ali”) quando, in contemporanea, il neo-putiniano Marco Rizzo mi informa delle sue preferenze sessuali, e un malizioso collega mi wuotsappa e la vignetta di Mario Improta sull’evoluzione della sinistra. Ecco, la tempesta è perfetta: la “sinistra” pratica la censura, e destra come sempre fa sé stessa.