La sindrome di Stoccolma

By on Ott 9, 2024 in Letteratura

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Giovedì i vecchioni di Stoccolma assegnano il Nobel per la Letteratura. La scadenza la ricorda la rubrica di Emiliano Morreale pubblicata sul “Venerdì” del 4 ottobre. Morreale segnala un nome “poco noto, che da qualche anno circola tra i candidati ideali, che lo meriterebbe”. Trattasi di Gerald Murnane, australiano di anni 85. Di lui apprendo che scrive solo a macchina, non ha la tv e non si è mai mosso dal suo pur immenso paese perché non gli garba l’aereo.

Non ho letto neppure una riga di Murnane, signore di cui ignoravo anche l’esistenza. Provo per lui un’istintiva simpatia: la sua faccia pare uscita da un film di Peckinpah. La convinta diffidenza nei confronti del trasporto aereo me lo fanno poi sentire “mio simile, mio fratello”. Ma di cosa stiamo parlando? La candidatura sostenuta da Morreale, buona o cattiva che sia, porta in primo piano una questione largamente irrisolta. Riguarda tutti i cittadini della Repubblica delle Lettere: quale autore merita il primato e in ragione di quale primazia.

Partiamo dalla posizione di chi sostiene un autore poco noto, e dunque concepisce il Nobel come se fosse una lente di Fresnel. Scelta che ha il vantaggio di non vellicare le mode né le liste di proscrizione del wokismo letterario. È la strada imboccata più volte dai vecchioni di Stoccolma. Purtroppo, nel loro caso sabotata da sbalorditive motivazioni politiche al punto che il premio istituito per celebrare l’arte della scrittura si trasforma nel festival delle minoranze oppresse: premiamo una donna, una persona di colore o la vittima di un regime disumano, pare si domandino ogni anno all’Accademia svedese. A volte ho l’impressione che il bingo dell’intersezionalità eserciti su di loro un’attrazione irresistibile: quando una donna di colore in fuga dall’oppressione o un bel trasgender sefardita con sottili venature propal? Purtroppo, una volta concluso il can-can mediatico ed esaurite le fascette in sovracoperta, le opere dell’ex-autore poco noto vanno al macero. E sugli ex-autori poco noti cala il sipario tombale.

I vecchioni non solo annusano con la tenacia di un Lagotto romagnolo gli autori politicamente chic. Ogni tanto praticano anche l’arte del coup de théâtre. Ricordate quando s’incapricciarono di uno che (Accademia avvisata mezza salvata) neppure si sarebbe scomodato a ritirare il Premio? Accadde quando venne assegnato a Robert Allen Zimmerman, più noto come Bob Dylan. Senza dubbio un genio della musica folk, country, blues, gospel, spiritual, rock and roll, rockabilly, jazz e swing. Tuttavia, il Nobel per la Letteratura pare non riguardi la musica, neppure quella delle ballate. Forse i vecchioni volevano darsi una riverniciata, o forse avevano bevuto un bicchiere di troppo. Fatto sta che molti si divertirono e moltissimi si scandalizzarono. Per quel che mi riguarda, scrissi una madeleine entusiastica, frutto forse di un attacco di situazionismo post sessantottesco.

L’alternativa all’autore “poco noto, che da qualche anno circola tra i candidati ideali, che lo meriterebbe” è l’autore notissimo. In proposito scrive Brodskij: “Se mai un poeta ha un obbligo verso la società, è quello di scrivere bene. Essendo in minoranza, non ha altra scelta. Venendo meno a questo dovere, scivola nell’oblio. La società, d’altra parte, non ha alcun obbligo verso il poeta. La società, maggioranza per definizione, presume di avere altre opzioni che non leggere versi, per quanto ben scritti. Ma se trascura di leggere versi rischia di scivolare a quel livello di eloquio al quale una società diventa facile preda di un demagogo o di un tiranno. Questo è, per la società, l’equivalente dell’oblio: un tiranno, naturalmente, può tentare di salvare i propri sudditi da questo pericolo con qualche spettacolare bagno di sangue”. Dunque, il Nobel inteso quale premio assoluto destinato a chi ha “scritto bene” nel corso di una vita di scrittura.

Posto che non vedo altre ipotesi, la questione riguarda la formazione della giuria. E qui casca l’asino, cioè io: saremmo mica pazzi al punto da preferire ai vecchioni un referendum planetario al quale partecipi chiunque dimostri di saper leggere? In tema di arte, cultura e civiltà, la così detta “scelta dal basso” equivale a infilare gli zebedei tra tavolo e cassetto. Insomma, temo non ci sia soluzione. George Steiner l’ha spiegato una quantità di volte: non esiste un criterio “scientifico” per stabilire il tasso estetico di un’opera d’arte. Chi decide cosa entrerà a far parte del canone – conclude Steiner – è il tempo. A cui fanno ghirlanda le opinioni (insindacabili) dei così detti “Grandi Lettori”, l’aristocrazia della Repubblica delle Lettere. Giusto per dire, quando si trattò di scegliere il volgare destinato a diventare italiano, ci misero testa Castiglioni, Machiavelli e il Bembo, mica Jessica84.

Lasciamo quindi che i vecchioni compiano le loro scelte il più delle volte sciagurate. In fondo il Nobel è come (un grande) Strega, un (grandissimo) Campiello, uno (stratosferico) Bancarella. Se non fai parte del giro – uffici stampa, case editrici, autori appartenenti alle storiche categorie “bella promessa, solito stronzo, venerato maestro” – che ti frega di chi lo ha vinto?

Ho accennato qualche riga fa a una terza ipotesi. Mi spinge a scriverne l’affetto che nutro per il me ragazzino, quello che credeva che gli individui potessero diventare persone, e le masse individui. Poiché sono ancora convinto che nonostante tutto un uomo che legge sia un po’ meno carogna di chi non legge affatto, il Premio dei Premi potrebbe essere assegnato allo scrittore a cui è riuscito il miracolo di far leggere a chi altrimenti non avrebbero letto neppure le scritte dei cessi. Non le protagoniste della furba editoria romance, spacciatrici seriali di condanne a vita: le loro sciagurate lettrici, una volte assuefatte a roba come “Due cuori in affitto” o “Innamorati pazzi”, non varcheranno mai la soglia della “Montagna magica”. Anche in letteratura, la moneta cattiva scaccia la buona e a quanto pare per sempre.

Se penso all’autore che fa leggere chi (forse) non avrebbe mai letto, l’autore della “prima volta”, quella che ti segna per tutta la vita facendoti scoprire che la letteratura è un infinito gioco di specchi e parafrasi, di echi e citazioni, invenzioni e di riscritture, di cose che qualcuno ha già scritto e qualcun altro riscriverà, mi viene in mente Joanne Rowling, la mamma di Harry Potter. Penso ai milioni di bambini che grazie al suo talento hanno imparato ad amare i libri. E pensando a loro, mi permetto di pensare che, nonostante tutto, la speranza che diventino adulti migliori di me non è poi così vana.