Gli editori sono una razza strana. Dobbiamo loro molto. Forse addirittura tutto quello che siamo. Da quando Gutenberg, un orafo specializzato nel conio delle monete, s’incapricciò dei caratteri mobili e si diede a stampare la Bibbia, non si sono più fermati nonostante il rischio assai concreto di finire in galera o sulla forca.
Gli editori sono una razza strana. Potrei nominarne almeno una decina che ci hanno rimesso bei soldi e qualcuno pure la salute pur di seguire la pazza idea di “metter fuori” le idee che qualcun altro ha pensato e scritto. E già quel “metter fuori” suggerito dal dizionario etimologico ha un sapore vagamente ostetrico, con l’editore sorpreso nell’atto di favorire il parto di un fantolino. Cosa che molto spesso effettivamente è: pensiamo al munifico editore di Musil che l’ha (letteralmente) sostenuto per anni in attesa di vedere finalmente concluso “L’uomo senza qualità”.
Gli editori sono una razza strana. Ricordo quando sono sbarcato in quella che credevo fosse un’isola editoriale e invece era solo un “vorrei ma non posso”, la prima cosa che raccontarono a me che venivo dal magico mondo della carne in scatola e degli spazzolini da denti era che ci sono tre modi di perdere denaro: le donne, i cavalli e l’editoria; e il terzo, specificavano, era il più rapido oltre che il più sicuro.
La settimana scorsa, troppo affaticato per le pagine di un saggio sulle cosmogonie con cui pure dovrò fare i conti, pur di non lavorare ho aperto il “Venerdì” di Repubblica, settimanale la cui qualità scolorisce di settimana in settimana come la macchia gialla sul muro della “Veduta di Delft”, che per l’appunto è una delle più meravigliose invenzioni proustiane; nel senso che – letteralmente – non esiste, non c’è traccia nel quadro, ma da quando il genio di Marcel l’ha evocata, è come se la vedessimo; e quindi esiste, e a volte scolora persino. Apro il giornaletto e cado su una pagina dedicata a un piccolo libro di Anna Bravo: “Le mani di Primo Levi. Due scritti”, Silvio Zamorani Editore.
Gli editori sono una razza stranissima. Talmente strana che a volte non esistono. Intendiamoci, Zamorani esiste eccome. Ma per Feltrinelli, il mio pusher di primo intervento, è come se non esistesse. “Purtroppo il nostro fornitore non ha questo titolo, quindi non possiamo ordinarlo” mi scrivono via WhatsApp in risposta alla mia richiesta d’acquisto. Zamorani esiste, eccome se esiste. Lo trovate qui. (Fa un sacco di cose nobili, come le edizioni in braille ad esempio.). Chiamo Zamorani. Mi rispondono che, purtroppo, tutte le copie di “Le mani di Primo Levi. Due scritti” sono state acquistate dal “Centro Internazionale di Studi Primo Levi”.
Quelli del “Centro Primo Levi” sono più che gentili. Addirittura si fidano di uno sconosciuto al telefono. Ma i loro i libri non possono venderli. Non chiedetemi perché, ma dev’essere una delle (tante) follie burocratico-fiscali del nostro ordinamento legislativo che premia i (grandi) evasori e rompe le balle a tutti gli altri. Quelli del “Centro Primo Levi” sono dei signori, oltre a tutto il resto. E mi spediscono a loro rischio e pericolo il libro di Anna Bravo. Serietà torinese, miracolo delle Poste. (Il Centro, oltre che contare su persone squisite, ha un sito ben pensato e ben fatto: altra cosa che Primo Levi avrebbe apprezzato, lui che considerava fonte di salvezza il lavoro compiuto a regola d’arte.)
Gli scritti di Anna Bravo raccolti in questo piccolo libro possono essere definiti “cameo”? Facciamo che sì. Paragonate al suo lavoro di storica della Resistenza, queste poche pagine sono appunto un cameo. Scrive l’autrice: “Vi propongo alcune notazioni sparse intorno alla funzione e ai gesti delle mani, della mano in Lager, così come compaiono nel racconto leviano di Auschwitz…”. Leggere “Se questo è un uomo” non è precisamente quella che si definisce una passeggiata di salute. Ma, con buona evidenza, ogni epoca ha le sue letture obbligate.
C’è il tempo doloroso ma aurorale de “La tregua” e il tempo per le riflessioni sorridenti e fattive de “La chiave a stella”. Penso che il nostro tempo sia di nuovo il tempo del Primo Levi filosofo morale de “I sommersi e i salvati”. L’uomo che ci costringe a riflettere sulla “zona grigia”. Sul fatto che nella guerra di tutti contro tutti a sopravvivere nei Lager non sarebbero stati i migliori. Leggere Primo Levi per domandarsi dove stanno oggi i lager e quale ideologia nutra i nuovi macellai. (Gli editori sono una razza strana. Dobbiamo loro molto. Forse addirittura tutto quello che siamo).