Le parole come la musica vengono logorate dall’ascolto. Usate a sproposito perdono di significato. Ciò che resta è solo suono, fastidioso.
“Leggerezza!” a cui puntualmente fa seguito “nel senso di Calvino”. Da qualche anno (dieci o venti?) sono legione coloro i quali abusano della parola divenuta il sostantivo per eccellenza del lessico calviniano. Nelle “Lezioni americane” (straordinario successo editoriale degli anni Ottanta) “Leggerezza” indicava uno dei valori che Calvino considerava alla base della letteratura per il nuovo millennio. Non altro. Oggi questa sfortunata parola condivide il destino della panna in cucina: l’uso improprio avvilisce i commensali e spegne la conversazione.
I pubblicitari, categoria alla quale per mia disgrazia appartengo, hanno bisogno come e più dei poeti di parole nuove. (“…i poeti laureati / si muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi, ligustri o acanti…” avverte Eugenio Montale).
Recentemente colleghi più abili, fortunati e conseguentemente assai più ricchi di me, hanno scovato la parola iconico. La ricerca di parole nuove (e ancora) non abusate è tutt’altro che semplice. Devono essere (o apparire) tali, cioè inaudite; ma anche risultare comprensibili a chi acquista prodotti di largo e larghissimo consumo; quelli per intenderci che fanno guadagnare di più e meglio i colleghi più abili, fortunati e conseguentemente assai più ricchi di me. Insomma, significare qualcosa.
Iconico è una di quelle. Ho il sospetto che la più parte dei responsabili degli acquisti non ne comprenda il significato; tuttavia iconico suona davvero bene e risulta efficace nel trasferire valore ad un oggetto, situazione o contesto. E così l’aggettivo viene attribuito a una patatina fritta, a un cantante sfiatato, al più appassito dei brand. (Nota: iconico si accompagna a classico come la salsa verde al bollito; sicché iconico è anche e sempre classico, e viceversa).
Accade sovente nella nostra epoca scientista nei consumi quanto superstiziosa e bigotta nei confronti delle idee di innamorarsi e far proprie parole che attengono al vocabolario della tecnologica e della tecnica. E’ il caso di resilienza. Da termine relativo alla resistenza di materiali come le piastrelle da rivestimento, l’aggettivo ha scalato le classifiche sino a divenire sinonimo di persona che, aggredita, oppone tenace resistenza fisica. Ma l’ambiziosa resilienza ha compiuto un altro salto di carriera finendo col l’assumere anche un significato morale. Resiliente è la corda, la vergine che si oppone allo stupro, lo sportivo che non cede alla fatica. Ma anche la madre di famiglia che combatte per far quadrare il bilancio e gli ucraini sotto le bombe. Insomma tutto. E quindi forse niente più.