Fateci caso, sino a qualche tempo fa il criterio “funziona /non funziona” godeva di un apprezzabile numero di seguaci. Oggi le argomentazioni degli italiani si basano sulle coppie “mi piace / non mi piace” e “bello vs. brutto”. Un film, un libro, un paio di scarpe sono “belli o brutti”. Ma anche un’architettura, un conduttore televisivo, un uomo (una donna) politico. Un tragitto il cui punto d’arrivo è il grado zero della complessità: la semplificazione è tale da non richiedere ulteriori sforzi argomentativi.
E’ un dato di fatto: la categoria estetica domina la nostra epoca. Scrive Perniola nel suo “Estetica italiana contemporanea” (Bompiani, 2017, 12 euro) “Nella modernità, la dimensione estetica ha acquisito un rilievo di primissimo piano… focalizzando sulla bellezza, sull’arte, sullo spettacolo e sulla comunicazione interessi precedentemente orientati verso l’etica e la politica”.
Il paradosso, ammesso che di paradosso si possa parlare, è che contemporaneamente al trionfo del pensiero basato sul “bello / brutto” “mi piace / non mi piace”, secondo l’autore negli ultimi cinquant’anni pensatori di alto livello hanno prodotto contributi originali e innovativi sul tema del che cosa è bello e che cosa è l’arte. Insomma, il massimo della ricerca di senso e significato si accompagna alla banalità assertiva dell’uomo della strada. Un confronto impari: la prima (la ricerca dei sapienti) pascola su riviste di settore e microscopiche tirature editoriali; la seconda dilaga sui mezzi di comunicazione di massa, social in particolare.
(Nota: Non è sempre stato così. Un tempo, prima dell’alluvione post-modernista che ha segnato la fine della contrapposizione tra idealismo crociano e storicismo gramsciano, gli steccati culturali erano insormontabili. Banalmente, tutto a ciò che oggi chiamiamo “pop” non era riconosciuto alcun status. Fine della nota).
Dobbiamo a Paul Ginsborg la definizione di “ceto medio riflessivo”. Maurizio Crippa sul “Il Foglio” così la descrive: “ceto intellettuale diffuso, elitario per autocoscienza e velleitario per vocazione, costantemente incazzato (pardon, “critico”) con l’andazzo del mondo. Il ceto degli insegnanti di scuola pubblica (e universitari, soprattutto quelli meno propensi all’internazionalizzazione), le professioni del sociale, i mondi del lavoro editoriale e della comunicazione”. Purtroppo, anche questa come molte altre teorizzazioni politiche del professor Ginsborg, l’inventore dei “girotondi”, non ha avuto soverchia fortuna; tornando a noi e agli studi di estetica nell’Italia contemporanea, se pure non sono certo di appartenere alla categoria ipotizzata da Ginsborg, non nutro dubbi sul fatto che il lettore standard si perda di fronte alla luminosa oscurità dei libri di Cacciari piuttosto che di Severino, Agamben e Gianni Vattimo. Ennesima dimostrazione dell’impossibilità per un intellettuale medio (sia pur riflessivo) di districarsi nella sterminata produzione culturale contemporanea. Anche solo “stare aggiornato” è un’impresa ai limiti dell’impossibile. Figurarsi approfondire. Quante ore è possibile dedicare allo studio, quante alla lettura e quante alla ri-lettura? Soprattutto se ogni tanto bisogna persino fare finta di lavorare.
Si dirà che sono falsi problemi. Sbagliato. Se il “ceto medio riflessivo” non fosse una chimera, una poetica aspirazione del professore inglese innamorato di Firenze e dell’Italia, se il ceto medio riflessivo davvero esistesse (e sulla realtà operasse criticamente) non ci troveremo nello stato in cui siamo: un paese dove si dibatte a colpi di “bello / brutto” inframmezzati da “mi piace / non mi piace”.
Veniamo finalmente al lavoro di Mario Perniola (mi sentirete parlare a lungo di lui) e alla funzione che libri come “Estetica italiana contemporanea” assolvono: proporre una sintesi rigorosa quanto immediatamente comprensibile al lettore non specialista dei più importanti contributi filosofici degli ultimi cinquant’anni. Il lavoro di studiosi che “hanno ripensato in modo nuovo alcune categorie estetiche (armonia, ironia, sublime, tragico, arguzia, acutezza) che appartengono al patrimonio culturale plurisecolare della cultura italiana. Si sono confrontati con la realtà politica, sociale, antropologica del loro paese e hanno trovato nell’ambito dell’estetica soluzioni che suggeriscono stili di vita e modi di sentire capaci di aprire spazi di libertà e autenticità”. Dimenticavo. Perniola, oltre ad essere un fior di studioso, dagli dèi ha avuto anche il dono della scrittura. (Poi, invidiosi come sono, gli hanno presentato il conto).