Che siamo un paese di vecchi lo si evince guardando le facce del condominio. Nel dubbio, accendere il televisore. Scorrono programmi che propongono agli anziani le cose che conoscono già. Come i bambini pretendono millemillanta ripetizioni della stessa storia e guai se cambi un nome, un dettaglio, una cadenza, così i vecchi godono nel rivedere i protagonisti di millemillanta anni prima. Invecchiati, certo. Ma ripresi nella stessa postura: la Berti fa la Berti, come Morandi e Baglioni – per citare i più noti e longevi – fanno sé stessi. Il guaio è che mentre le Berti, i Morandi e i Baglioni hanno talento da vendere e, come i software del cellulare, sanno proporre la loro brava versione aggiornata, la maggioranza dei vecchi che vengono riproposti al pubblico dei loro coetanei sono come i dischi che girano sul piatto con la puntina inceppata.
Nanni Moretti appartiene alla seconda categoria. E’ una tragedia: non vorrei aver dovuto scrivere questa frase. Nessun mio coetaneo sano di mente vorrebbe aver scritto una frase orribile come questa. La mia generazione è cresciuta a Nanni Moretti. Si è incazzata con Nanni Moretti. Si è riconosciuta nei tic, nelle idiosincrasie e financo nelle posture nevrotiche di Nanni Moretti. E pure io, ovviamente, ho goduto e riso amaro con Nanni Moretti. Un’identificazione totale, come Simone Cristicchi che “vorrebbe cantare come Biagio Antoniacci”. (La conoscete la canzone, no? Nel caso la trovate qui).
Il casus belli, la linea rossa com’è di moda dire oggi dopo che Assad l’ha attraversa impunemente una dozzina di volte e l’Occidente ha girato la testa dall’altra parte, è l’intervista che Nanni Moretti (“vorrei cantare come Biagio Antoniacci”) ha graziosamente rilasciato come dicono in banca quando ti avvertono di una nuova procedura, a Serra Michele. Il quale si sdilinquisce per il fatto che Nanni Moretti – che non rilascia mai interviste – gli ha rilasciato un’intervista, scusandosi perchè Nanni Moretti (che non rilascia mai interviste) risponde poco e quasi solo a monosillabi. Insomma, una roba alla “vorrei cantare come Biagio Antoniacci” se non fosse che nessuno dei due, per fortuna nostra e loro, canta.
Nel corso dell’intervista che Nanni Moretti, che non rilascia quasi mai interviste, ha rilasciato a Serra Michele, apprendiamo un sacco di cose. Che l’ultimo film (ma non in senso temporale: “mica è un testamento”) di Nanni Moretti non è un film politico e non bisogna titolare il pezzo in tal senso. Guai. Ma si parla molto di politica nel film. Anche se non è un film politico, per carità. Che è un film dove Nanni Moretti fa Nanni Moretti che fa il regista che deve girare un film ambientato nell’anno in cui i sovietici tanto per fare qualcosa di diverso invadono l’Ungheria ma il PCI non può dire niente. Ma non film politico. O forse anche sì. Nel film Nanni Moretti che fa Nanni Moretti ha in odio chi porta le ciabatte, gli zoccoli o, in ogni caso le scarpe sbagliate; fa sfoggio delle sue idiosincrasie e dei suoi svariati rituali scaramantici, mente Margherita Buy nella parte di Margherita Buy strabuzza gli occhi e accenna un sospiro con l’aria di Margherita Buy che non ricorda se e quando ha preso l’ultima dose di Prozac. Poi c’è anche un circo (omaggio a Fellini? chiede con luminosa buona fede Serra Michele. Risposta: certo che sì) e poi c’è anche un finale che spiega e svela ma non possiamo dirlo ora, venite a vederlo in sala, mi raccomando anche se poi andrà su Netflix (“vorrei cantare come Biagio Antoniacci”) fine dell’intervista. Ah, no, c’era anche lo sgoop sull’intervista filmata da Nanni Moretti al buon vecchio Ingrao. (Domanda epocale: si poteva dire qualcosa sui fatti d’Ungheria? Risposta: no.)
E così l’altra sera stavo per cambiare canale (cambio sempre canale dopo aver ascoltato il rassicurante Burioni che, cravatte a parte, amo per la fiducia che sparge riguardo al metodo scientifico) quando ecco che da Fazio Fabio compare Nanni Moretti, quello che non rilascia mai interviste. Non ho resistito. Volevo vedere sino a che punto sarebbe giunto Fazio Fabio. Quanto avrebbe magnificato, incensato, adorato – in una parola che non esiste e invento per l’occasione: panegiricato – cotanto Ospite. Bene, se Serra Michele nell’intervista scritta era stato un po’ apologetico, Fazio Fabio al confronto pareva il sagrestano a cui è affidato l’onere oltre che l’onore di vestire la cotta non dico al Vescovo, non dico al Cardinale, ma al Papa in persona. L’effetto “vorrei cantare come Biagio Antoniacci” dispiegato alla massima potenza. Lui, Nanni Moretti intendo, faceva come sempre Nanni Moretti. Con l’aria del cosa ci faccio qui non vorrei si pensasse che sto a farmi pubblicità. Con le risposte mozze. Senza neppure l’aria plumbea da statua egizia che nella stessa circostanza ebbe il grandissimo Calasso quando con spudorato coraggio affermò che Simenon –l e cui vendite stavano contribuendo a impinguire il bilancio della sua casa editrice – andava considerato alla stregua dei massimi scrittori europei del Novecento. Un’affermazione che a qualunque intervistatore due gradi meno genuflesso di Fazio Fabio avrebbe suscitato un irrefrenabile accesso di fou rire.
Va bene, la faccio corta. Il guaio è che se leggi un’intervista puoi anche farti un’idea giusta o sbagliata che sia, ma è appunto un’idea. Ma a casa di Fazio Fabio si leggono le immagini. Nello specifico spezzoni chiamati trailer. Quelli scelti (pardon: immagino attentamente concordati con Nanni Moretti) riguardavano ancora una volta tutti i tic, i birignao, le mossette, le nevrosi e le idiosincrasie che abbiamo avuto modo di vedere, film dopo film, negli ultimi quarant’anni. C’è Nanni Moretti che fa i riti scaramantici. Che s’incazza per le ciabatte dell’attrice che deve dirigere. Che colma di rimproveri e contumelie una troupe cinematografica. E c’è la Margherita Buy nella parte di Margherita Buy che è sé stessa come Anna Magnani nella recitazione ansimante di seno (seno giù, senso su). Ci sono poi, per quel poco che abbiamo potuto vedere, uno straordinario Silvio Orlando e una convincente (nella scena del bacio) Bobulova.
Lo so. Scrivendo questa avvelenata perderò almeno la metà degli otto scioperati che insistono a leggermi. Lo so. Legioni di amichi de Nanni troveranno che “Il sol dell’avvenire” è un film stupendissimo che mischia pubblico e privato, temperie politiche e sentimentali, com’eravamo, cosa saremmo potuti essere, cosa siamo diventati signora mia, che tempi, che sprofondo, ah però quant’è bravo Nanni. Eccetera eccetera.
Questo è davvero un paese per vecchi. Benestanti, aggiungo. Chè se non sei benestante con cazzo che vivi bene da vecchio in un paese dove poco funziona e moltissimo ha smesso di funzionare. Ma se sei anziano e hai due spicci, che meraviglia potersi emozionare pensando a quanto era bello quando eravamo giovani, quando eravamo autarchici e c’indignavamo convintissimi d’essere, comunque, dalla parte della ragione. Le parole, si sa, sono importanti.