Tra le dieci cose più fastidiose della vita, immediatamente dopo le briciole di cracker nelle lenzuola e immediatamente prima dell’auto guidata dall’anziano con il cappello piantato in testa, bisogna aggiungere le opinioni della signora Gina sulla storiografia. Per chi non lo sapesse, la signora Gina è la vicina di casa che ha sostituito per ragioni anagrafiche la famosa casalinga di Voghera, l’esemplare figura retorica che dobbiamo al genio di Beniamino Placido. La signora Gina e i suoi inconsapevoli seguaci si riconoscono immediatamente per l’incapacità di cogliere la differenza che corre tra un’opinione e una tesi conclamata, un’ipotesi fantasiosa e un dato di realtà accertato. In buona se non buonissima fede, dobbiamo a loro se la nostra epoca sottostà alla prevalenza del cretino, la legge empirica formulata da Fruttero e Lucentini.
Ad alimentare, giustificare e infine legittimare le opinioni del cretino, è il nutrito gruppo di addetti ai lavori in cattiva se non pessima fede. Il loro lavoro consiste nel rimestare il calderone delle falsità con la stessa gioiosa cupidigia con cui lo scarabeo stercorario abbraccia l’agognata palla di merda. Chiedersi perché lo facciano (la più parte di loro sono individui di raffinata sagacia) è come chiedere allo scorpione della favola perché punga la rana, e pungendola sancisca la sua fine. Non c’è spiegazione razionale se non quella del bisogno di distinguersi (la famosa lotta contro il “pensiero unico”); di occupare uno spazio di visibilità altrimenti inesistente; di polemizzare per il gusto di farlo all’insegna del “io esiste”; e infine forse anche la volontà di sapore tardo-situazionista di sostenere una tesi insostenibile (esempio: contro la vaccinazione obbligatoria e il green pass) per il gusto di mostrare al mondo la propria ars retorica.
Una delle tesi preferite dal plotone di quelli che d’ora in poi chiameremo i “Gioiosi Scarabei” (GS) che piace tantissimo alla signora Gina è la seguente: “la storia la scrivono i vincitori”, seguita dal corollario “non si può scrivere serenamente di fatti avvenuti troppo recentemente”. Portata alle estreme e pure immediate conseguenze, questa tesi significa una cosa di terrificante semplicità: nulla può essere conosciuto veramente: la distinzione vero/falso non solo è mistificante, ma soprattutto è insignificante. Insomma, parodiando come fa Maurizio Ferraris il celebre e incompreso motto nicciano, “non esistono gatti ma solo interpretazioni”. A conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, dei guasti terribili che lo sciocchezzaio postmodernista continua a compiere.
La storia non la scrivono i vincitori: la storia la scrivono gli storici, quelli che di mestiere fanno parlare i documenti. Punto. Poi possiamo disquisire su come l’abbiano scritta, se bene o male (più spesso la seconda) ma è un’altra questione; senza scordare che nelle ecologie democratiche i “vinti” hanno facoltà di riempire librerie e biblioteche con le loro interpretazioni dei fatti, con la loro analisi dei documenti; con la loro volontà di far emergere una “certa verità” piuttosto che un’altra. Penso ad esempio allo sforzo dei così detti “ragazzi di Salò” di dare un’altra lettura (eufemismo) della Resistenza e della lotta partigiana, o a chi tutt’ora prova a sostenere le ragioni del ventennio fascista e le politiche del cavalier Mussolini. Penso alla vergognosa faccia tosta dei reduci delle brigate rosse riciclati in conferenzieri, saggisti, testimoni dello spirito del tempo.
La domanda quindi è: chi decide il valore di uno studioso, il valore del suo lavoro e della Scuola da cui proviene? Non certo la signora Gina e neppure i suoi amici; se non altro per la buona ragione che nessuno di loro si sogna di prendere in mano, ad esempio, un testo di Renzo De Felice, Claudio Pavone o Norberto Bobbio. La minaccia (è il caso di dirlo?) viene dai “Gioiosi Scarabei”. Sono loro che da trent’anni a questa parte lavorano ai fianchi il corpaccione indifeso dell’italiano medio, la categoria da cui provengono tutte le signore Gine d’Italia, provocando le paure e vellicandone il narcisismo con notizie fasulle, dati falsificati o inverificabili, minacce inesistenti: l’uomo nero, la sostituzione etnica, la minaccia musulmana, il primato italico… Sono loro, i GS, i battistrada dei nuovi luoghi comuni (mannaggia, se ci fossero ancora i Flaiano e gli Arbasino!). Sono i GS coloro che hanno assunto il compito di smontare, svellere e svelare quelle che definiscono “verità di regime”, il frutto di quando tutta la cultura (tutta, tutta) era appannaggio della sinistra e del PCI in particolare.
Una lunga premessa, direte; e del resto chi legge legge, e chi non legge comunque non leggerà, pima di parlare del lavoro di Andrea Graziosi (“L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia”, Laterza, 16 euro). Graziosi è il maggior storico dell’Unione Sovietica e della storia dell’Europa Orientale; tra le altre cose “nel1991 partecipa alla stagione di ricerca permessa dall’apertura degli archivi ex-sovietici, e nel 1993 fonda con Oleg Chlevnjuk la serie Dokumenty sovetskoi istorii, per cui sono usciti a Mosca quasi 20 volumi”. Insomma, per dirla in un linguaggio comprensibile anche agli amici della signora Gina, è uno che sa le cose. Il suo libro non è una passeggiata di salute: non solo richiede attenzione e impegno, ma leggerlo è doloroso per chiunque, particolarmente per coloro che sono cresciuti con il mito della rivoluzione russa e con la foto di Lenin che arringa la folla sceso dal treno blindato a Pietrogrado appese nella stanzetta di studente; per coloro che ancora oggi – incredibilmente – si cullano nell’idea di un Lenin “buono” tradito dall’orrido georgiano: l’orrore per l’Ucraina e per il popolo ucraino hanno inizio nel 1917. Il primo carnefice si chiama Vladimir e, a parte una “russificazione dolce” come la definisce Graziosi negli anni kruscioviani, l’orrore è la costante della storia ucraina.
Perché leggere “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia”. O meglio, per chi è “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia”. Diciamo per chiunque abbia voglia di comprendere come la politica putiniana sia basata sul terrore e saperne di più sullo stato miserevole (natalità, mortalità, speranza di vita, welfare, produzione della ricchezza e pil) del paese più grande al mondo; per chi ha desiderio di vederci chiaro sui patti tra l’Occidente e la nascente federazione russa nel 1991; sulle 4000 testate nucleari che l’Ucraina (ingenuamente) consegnò alla Russia; sull’odio antioccidentale alimentato ad arte nel popolo russo; sul desiderio genuino degli ucraini di vivere come vivono gli altri europei (loro si considerano tali); sulle menzogne sistematiche del governo russo e sul ruolo della Nato e degli Usa nel conflitto in corso.
Una lettura che non piacerà a chi si nutre di pane e ideologia, a chi è schierato a priori, ai nemici degli Stati Uniti che prosperano in modo equanime sia tra i fascisti ex missini che tra gli irriducibili della lotta al capitale. Ripeto: la storia la scrivono gli storici che fanno parlare i documenti. Dopo, solo dopo, viene il tempo delle interpretazioni. Per tornare all’esempio degli studi sulla Resistenza, per decenni gli storici che sostenevano sia stata una lotta di liberazione dall’invasore ma anche una guerra civile si sono scontrati con chi negava questo aspetto; ma mai nessuno degli studiosi seri ha messo in dubbio la legittimità morale prim’ancora che politica dello scontro.
PS
Ieri sera mi ha telefonato la signora Gina. Era tra l’imbarazzato e l’offeso. Mi ha detto che non è colpa sua se hanno smesso di pubblicare “Selezione” del Reader’s Digest: insieme a “Intimità” era sua lettura preferita. Dice che dopo una giornata di duro lavoro guarda striscia la notizia. La informa, dice. Per fortuna è caduta la linea e non mi ha più richiamato.