Ultimamente mi capita di svegliarmi nel cuore della notte. Forse è per via della casoeûla, il piatto della tradizione lombarda che i giargiana insistono a chiamare cazzuola. Mi giro e mi rigiro cercando di addormentarmi e quando tra un verzino e l’altro finalmente il sonno arriva, puntuali come un break pubblicitario compaiono Vladimir Putin e il patriarca Kirill, quello che veste Dolce e Gabbana senza pagare un rublo di royalty. Il sogno segue noiosamente sempre lo stesso copione. Forse dipende dalle costine; cotenna, piedino e musetto non c’entrano perché cambio fornitore ogni volta.
Kirill e Vladimiro seduti ai capi del lunghissimo tavolo che pare sia stato prodotto a Cantù, contrariamente a fraudolenti comunicati stampa emessi da un consorzio di Lissone, incombono in primissimi piani di sapore hollywoodiano. Posso quasi contare i pori e i peli che sfuggono dal naso di Cirillo. “L’Occidente è decadenza!” sussurra il sacerdote. “l’Occidente è un legno marcio lasciato a imputridire in un vaso di piscio!” sibila Vladimiro facendomi venire il sospetto che sia un assiduo compulsatore delle “Centoventi giornate di Sodoma” (diavolo d’un uomo avrà forse letto il divin Marchese in lingua originale?). Vanno avanti elencando con dovizia di particolari tutte le nostre colpe a partire dalla Rivoluzione francese. Cirillo che dei due è di gran lunga il più colto giunge persino a citarmi il conte Joseph Marie de Maistre, il giurista sabaudo che dopo aver trascorso un lungo soggiorno a Mosca se ne tornò a Torino disgustato per la mollezza del sovrano di tutte le russie.
Mi sveglio di soprassalto e quasi calpesto la cana che dorme ai piedi del letto nel tentativo di mettermi in piedi e scacciare l’orrore. Forse ho esagerato con la verza. Forse non dovrei innaffiare di amarone la casoeûla. Forse dovrei smetterla di mangiare casoeûla la sera. Mentre rimugino il liberale di sinistra che alberga in me inizia sussurrare nel momento esatto in cui ingurgito la solita inutile dose di citrosodina: “E se avessero ragione? Non dico su tutto, ma qualcosina?”. Cerco di zittirlo mentre con inconsapevole automatismo apro il frigo e ingoio una cucchiaiata di polenta. Inutile. “E la ragazza pakistana ammazzata dalla famiglia? Cosa mi dici della ragazza?”. Cosa vuoi che ti dica: bestie, sono bestie. “Bravo” insiste la vocina. “Ma le femministe? Quelle toste e dure che se sbagli un pronome e non usi la Schwa sono palate di guano?” Cosa c’entrano la Michela Murgia e la Laura Boldrini, rispondo debolmente io. “C’entrano, c’entrano” continua perfida la vocina “Ti sarai accorto che la parola islamico non compare mai nello loro intemerate. Ci si batte per un cesso dedicato ai trans in via di transizione, ma della povera Saman? E delle donne che si fanno ammazzare in Iran che mi dici? O meglio, che dicono loro?”. Con la bocca ancora impastata di polenta e, lo confesso, anche di un morso di verzino ma piccolo davvero, tento un’inutile risposta. Il liberale di sinistra è un fiume in piena: “Per non parlare del fastidio che i tuoi connazionali provano per gli ucraini. Invece di fare la pace continueranno a combattere facendo salire alle stelle il prezzo del gas!”. Come se non bastasse arriva la stoccata finale: “Non mi pare siano previste manifestazioni di protesta per le minacce nucleari davanti all’Ambasciata e ai Consolati sovietici, pardon russi” aggiunge ridendo. “Mi sa che Vladimiro e Cirillo non hanno poi tutti i torti, l’Occidente è fraccico…!” conclude con il sogghigno di chi sa che non ci saranno obiezioni. Infatti chiusa la porta del frigo mi pulisco dall’ultimo boccone di costina e me ne torno zitto a letto.
L’altra sera sono andato con un paio di amici a bere un aperitivo nel famoso locale XY. Saranno state le sette e un quarto, sette e mezza al massimo, quando entra un ragazzo benvestito, capelli ricci corti, faccia da bocconiano in regola con gli esami, soprabitino attillato tre bottoni sopra camicia bianca e cravatta. Va’ come cena presto, penso. Magari è l’avanguardia mandata da papà privo di prenotazione. Invece il giovane uomo comme il faut si toglie la giacca e veste il grembiule di servizio che il capocameriere gli porge. Non è un commensale, ma un sostituto. Oppure un avventizio in prova. Ineccepibile, prende posto dietro il bancone e inizia ad asciugare i calici per il vino. E’ allora che osservando la consumata abilità con cui muove le mani che scopro le sue unghie. Sono perfette e perfettamente smaltate di lacca nera. Pagherei qualcosa – anzi, più che qualcosa – per saperne di più. Per sapere chi è, chi sono i suoi amici, come vive, cosa legge, come si diverte e con chi. Di più: sarei persino pronto a rinunciare a tre mesi di casoeûla pur di sapere se è andato a votare e a chi ha dato il suo voto. Il nostro è un mondo strano e pure difficile. Ma è incredibilmente meglio che stare in una buca di fango a Kharkiv o a morire di botte a Theran.