Oggi 20 settembre è un giorno speciale. Si festeggia, o almeno si dovrebbe, la città di Roma tornata italiana. Temo non freghi a nessuno, tantomeno ai romani visto lo stato pietoso in cui insistono a tenere la loro città; che poi sarebbe anche nostra. E forse addirittura più nostra che loro, essendo Roma la capitale del più indefinibile paese occidentale.
Sia come sia, tema di questa madeleine è comunque la festa. L’ultima a cui ho partecipato è stata bellissima e persino istruttiva. Mi ha dato modo di conoscere come si divertono oggi i trentenni milanesi. Nessuna pretesa di scientificità sociologica: le mie evidenze le traggo da un unico carotaggio compiuto nel corso di una giornata di festa iniziata alle undici del mattino e conclusa verso le due di notte. Il campione è particolarmente interessante: la compagnia dei trentenni milanesi in festa è composta da una quarantina di amici delle più diverse provenienze sociali e professionali. Il criterio unificante è l’amalgama affettivo che mantiene unito e stabile il gruppo come il plasma confinato dai magneti.
Come è noto, attraverso riti condivisi il gruppo celebra innanzitutto sé stesso. Uno dei più sorprendenti è il ballo. Cosa c’è di strano, vi chiederete. Da che mondo e mondo le compagnie celebrano ballando il piacere di stare insieme. Lo strano, per me almeno, è la base musicale amata dai trentenni milanesi. Ad una prima onda di musica swing proposta da una band strumentale la cui vocalist si è rivelata davvero eccellente, ha fatto seguito al calar della sera la sezione discoteca allestita all’aperto con tanto di luci, mixer e disc-jockey. Dalle più celebri hit made in USA anni ’50, ’60 e ’70 del pomeriggio, si è passati alla rilettura della disco music anni ’80, degli Abba e dei Pink Floyd per giungere poi ad Elettra Lamborghini transitando per Rita Pavone. Cambiano i pezzi ma la base bum bum è sempre la stessa e sempre allo stesso (quasi insostenibile) volume. Così, dopo il “Ballo del mattone” della povera signora Pavone, ascoltare “Che finimondo per un capello biondo che stava sul gilet”, canzone di Vianello del 1961, fa un certo effetto.
Insomma, pare davvero che nulla si crei e nulla si distrugga. Non solo: il principio della conservazione della massa teorizzato dal signor de Lavoisier si rivela valido anche per l’editoria. Poco importa se le nudità esibite sul palco da Achille Lauro o dai Maneskin siano una novità oppure una riedizione del mood inaugurato dal signor Jggy Pop, il simpatico giovinotto nato a Muskegon nell’ormai lontano 1947; gli allegri trentenni milanesi, almeno quelli che ho conosciuto io in una notte di settembre, se ne fottono della filologia e si godono il piacere di fare casino insieme. Per l’inverno che verrà sul loro viso (ci stava in stile bum-bum pure la ballata del povero Geordie l’impiccato) per fortuna c’è ancora tempo.