Il coraggio di essere

By on Ott 25, 2020 in Contemporaneità

Apro la posta. Una newsletter a cui sono abbonato titola: “la morte di un maestro”. Clicco convinto che rimandi al disastro francese che ci riguarda anche più del Covid. Ma il maestro in questione è Enzo Mari, un talentuoso signore che lasciandoci alla ragguardevole età di 88 anni non è stato – come si suol dire – strangolato in culla.

Sulla vicenda di Samuel Paty è già sceso il silenzio. Ne ha parla oggi, con la sua scrittura tra l’irritante e il pomposo, Bernard-Henri Lévy. Per il resto – il resto dei giornali e delle newsletter – pare che la notizia sia già buona per incartare il pesce. Hanno avuto fine anche le reazioni, positive e negative, a un insensato quanto sgarrupato post di Carlo Rovelli su Facebook. Morto e sepolto. Punto.

Congetture

Ipotesi uno: parlare di islamizzazione strisciante delle società laiche occidentali, di resa dello Stato democratico alla sharia, di abbandono del territorio ai fondamentalisti (eccetera eccetera) è sgradevole. Si rischia di scrivere cose in stile signora Le Pen. Di essere scambiati per aficionado del Felpato. Nostalgici dell’orrida Oriana Effe. Seguaci di Feltri senior. Sodali di Casa Pound. E, peggio, si va contro al formidabile côté catto-sinistrista, l’arco che dall’“Avvenire” passando dalle parti del Papa ambientalista arriva sino ai Centri Sociali. Anime belle che mischiano i sensi di colpa del passato coloniale alla vergogna anticapitalista per il (perduto) primato culturale, tecnico e scientifico dell’Europa. Eccellere, primeggiare, trasformare il mondo e vivaddio arricchire sé e gli altri, è una colpa, la massima colpa.

Ipotesi due: i giornali (le televisioni, le newsletter etc. etc) sono perennemente in caccia di clickbait. Al tempo del Covid e del suo bravo lockdown preannunciato, ogni quesito un pelo più elevato di temi come l’apertura di bar e ristoranti e il (sereno) proseguimento del campionato di calcio suona parlar arabo, giusto per restare in tema.

Da qualche parte, non ricordo dove, George Steiner esprime l’amara constatazione che in un regime totalitario sono davvero pochi i cittadini disposti a rischiare qualcosa in nome della libertà di parola; a cui manca davvero come l’aria la possibilità di scrivere, declamare, leggere, conoscere, scambiare, confrontare, scegliere. Se le cose bene o male funzionano, se c’è uno straccio di lavoro e i beni di tutti i giorni sono gratis o costano relativamente poco, si tira avanti senza fare troppe storie: perché esporsi, perché rischiare? Purtroppo per noi, Steiner parlava dell’Unione Sovietica non dell’Europa liberale, laica e democratica. Onore a Samuel Paty, il maestro a cui la terra non è stata lieve.

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