Customer experience

By on Giu 4, 2020 in Contemporaneità

Riaprono i negozi. Quelli belli dove si va non per la sopravvivenza (pane, latte, carta igienica, sapone) ma per lo sfizio di guardare, tocchicciare, provare (se non è troppo complicato) e – forse – persino comprare. I bravi markettari de’ noaltri, compagnucci delle merende di qualche secolo fa, andavano pazzi per espressioni come customer experience, e i più fighi si facevano riconoscere sottolineando la necessità di esplorare anche (e soprattutto) il custom journey. Per non parlare dei famosi KPI che solo a pronunciarli – “chi-pi-ai” – provocavano orgasmi che Meg Ryan in “Harry ti presento Sally” al confronto spicciava loro casa.

Più i markettari erano marginali, nel senso che esercitavano al servizio di contee insignificanti e nella gerarchia aziendale occupavano lo stesso posto delle oloturie nella biologia marina, e più spendevano questi termini non si sa se in modo più ridicolo o più astruso. Beninteso non mi è mai passato per la testa che l’arte della gestione aziendale sia ridicola: se si sbaglia per più di un giro c’è gente incolpevole che perde il posto; il ridicolo sta nell’uso fuori luogo che si fa di metodi, tecniche e strumenti, quando le parole diventano birignao gergali usate per dare importanza in primo luogo a sé stessi e al ruolo che non ci appartiene ma che daremmo un rene pur di ricoprire.

Riaprono i negozi. Ma se per entrarci un tempo dovevi metterti in coda e pazientare parecchio (Abercrombie & Fitch di corso Matteotti qualche anno fa, Uniqlo di piazza Cordusio pochi mesi fa) ora in coda ci stai per via del distanziamento. E dopo la coda, c’è la prova della febbre, l’aspersione e l’inguainamento delle mani, i nuovi riti che hanno sostituito la prova in camerini sbarrati come un’autostrada in costruzione. Coperto di plastica che ti ha privato del piacere di toccare, mascherato in mezzo a (pochi) altri mascherati di cui non puoi scrutare fattezze ed espressioni, attento a non farti sfiorare dal vicino ingombrante, che ci vai a fare nel negozio sfizioso?

Certo, la merce la prendi, la compri e la porti a casa dove, scarpe comprese, potrai finalmente provarla con la sicurezza di una garanzia allungata. Se non ti garba, se ti va larga, se ti va stretta, se sembri un gioppino o Cucciolo il più scemo dei sette nani, la potrai cambiare o annullare l’acquisto. Ovviamente nel negozio dove l’hai acquistata; altra coda, altro esame, altra aspersione, eccetera eccetera. Con buona, buonissima, pace della customer experience. Con buona, buonissima, pace del marketing e dei markettari. Che si sussurra e addirittura si dice non serviranno in futuro. Non come lo abbiamo (li abbiamo) conosciuti. Adesso il focus (il focus, signora mia!) s’è spostato nuovamente sulle macchine, quelle intelligenti. Quelle che governeranno i nostri acquisti (la nostra custom experience) da casa, quella che abbiamo dovuto trasformare in ufficio scoprendo che, tutto sommato, il non dover pendolare in ufficio non è poi così male. Flirt tra colleghi e gabole da macchina del caffè a parte.

Le macchine intelligenti non s’ammalano di Corona, non scioperano e non si rompono; e in caso di guasto si riparano in fretta. I bene informati dicono che le imprese USA investono a palate in A.I, ovvero nelle macchine che ci fanno fare acquisti da casa. Salteranno migliaia (milioni?) di posti di lavoro gestionali e amministrativi, e cadranno anche parecchi soldatini del marketing: che bisogno c’è di forza lavoro umana se un algoritmo “comprende e prevede” più precisamente, più rapidamente e a costi irrisori? E anche se recentemente il signor Bezos ha assunto migliaia di persone per fare i pacchi che noi ordiniamo comodamente da casa, i magazzini automatici popolati da robot che prelevano, impacchettano e spediscono è il presente non il futuro.

Nel frattempo, qualcuno come gli architetti che hanno scoperto l’acqua tiepida del verde in città, i sociologi del lavorare meno-lavorare-niente e i profeti della decrescita felice, la disciplina che studia il percorso più veloce per tornare al Medioevo, teorizzano il trionfo dei piccoli borghi, dei piccoli, lavori, dei piccolissimi impegni. Tutto un gioioso bri-à-brac di artigianelli che producono, non si sa per chi né come, opere di alto artigianato frutto della socialità gioiosa delle piccole comunità nelle quali tutti si conoscono e, presumibilmente, tutti si fanno i cazzi di tutti gli altri. Un gioioso “Nuovo Rinascimento” (il quarto o il quinto? le edizioni non si contano più) all’insegna del tramonto delle città inquinate, affollate, asfissianti e pure pandemiche. Fuga da NY, da Londra, da Parigi e, fatte le debite, via pure da Roma e da Milano. Via, tutti a vivere in campagna a respirare l’aria buona. E chi i piccoli gioiosi borghi abbandonati non li ha (inutile domandare agli architetti dell’acqua tiepida i perché dell’abbandono) nessun problema: glieli costruiamo noi che di borghi e di contese da campanile siamo campioni mondiali da mille anni.

Con buona pace di Bruce Chatwin, il più stanziale dei narratori erranti che la storia ricordi, la civiltà – il tanto vituperato progresso grazie al quale non muori più di pellagra e difterite – l’hanno inventato i cittadini, non il nomade, il montanaro, il contadino, e neppure l’abitante dei piccoli (infelicissimi) borghi. Arriverà il vaccino o qualcosa che gli somigli. Lo assumeranno per bocca o per ago anche molti tra coloro che oggi si dichiarano orgogliosamente no-vax e, una volta smesse mascherate e mascherine, torneremo nei negozi a vivere le nostre brave esperienze di clienti. A scansare gli altri non per ansia e timore, ma per la sana consueta indifferenza che nutriamo per chi ci circonda, l’arte di essere folla in mezzo alla folla che distingue l’animale metropolitano dalla selvaggina di bosco.

Tornati alla nostra pigra abitudinarietà una sola cosa dovremo tenere a mente: le miliardate versate dai Paperoni digitali nelle piantagioni dell’intelligenza artificiale. Il risultato sarà un maelstrom di proporzioni tali da far sembrare le sette piaghe d’Egitto una sbucciatura ai ginocchi (pare che nell’Impero dei mangiatori di pipistrello in umido si siano portati avanti e parecchio). Chi controlla chi sa tutto di noi, gusti, fisime, dire, fare, baciare, lettera e testamento? Il nemico, l’hanno capito anche i sassi, non è la tecnologia, il nemico siamo noi. Ma anche nella notte più buia c’è un pensiero di conforto. Sta a noi decidere se tenere acceso il nostro personale cazzabubbolo. Sta a noi decidere quanto spazio concedere. Sta a noi gridare chiaro e forte che l’intimità personale è un valore non negoziabile. Alla mala parata torneremo a mascherarci come i coraggiosi cittadini di Hong-Kong.

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