Demagogia è una parola sfortunata. In origine significava “arte di guidare il popolo” ma rapidamente si trasforma in “pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni con promesse difficilmente realizzabili”. Così che, fatalmente, il regime politico basato sulla demagogia “rappresenta la forma corrotta della democrazia o una simulazione di questa”. (Sulla demagogia Luciano Canfora ha pubblicato un’interessante libretto per i tipi di Sellerio).
Di demagoghi è purtroppo pieno il mondo, in particolare quello politico. Al punto che ci abbiamo fatto il callo e la cosa non stupisce più di tanto. La reazione è assai diversa se l’artefice di una dichiarazione che ci appare demagogica è persona che consideriamo degna di fede, informata e documentata riguardo a ciò che sostiene, propone o più semplicemente auspica.
È il caso dell’articolo di Michele Serra comparso oggi su “Repubblica”. Un panegirico sulla riapertura delle librerie intitolato “Se un libro è come il pane”. La tesi sta tutta nell’occhiello: “La riapertura delle librerie ha un valore simbolico lampante: la cultura è considerata un bene primario”. Con un vertiginoso salto logico Serra sostiene che questo atto (non valido in Lombardia come verremo a sapere sole poche ore dopo) sancisce che “la cultura è come il pane e il libro è l’oggetto culturale per eccellenza, a dispetto di ogni sua mutazione tecnologica o merceologica”.
Perché mai è un’affermazione (sorprendentemente) tristemente demagogica? Innanzitutto perché la chiusura delle libreria non impedisce affatto l’acquisto dei libri. Come sanno bene tutti i bibliofili della Terra, questi ultimi sono regolarmente consegnati da servizi come Maremagnum o dalla tanto esecrata Amazon; oppure molto più banalmente sono disponibili nella versione e-book. Contrariamente al gasolio e alla benzina che li ciucci alla pompa oppure nisba, esistono alternative che tra l’altro offrono il vantaggio di non mettere a repentaglio la salute dei commessi delle librerie, luoghi spesso angusti come ben sanno i suiveurs.
L’affermazione di Serra è tristemente demagogica perché è falsa. La cultura nel nostro paese non è affatto come il pane. Non è mai stata pane e, purtroppo, neppure brioche. Così come non lo è la ricerca scientifica e l’istruzione. Il mercato culturale – produzione/ distribuzione/consumo – riguarda uno ristretto gruppo di persone che sono poi sempre le stesse: quelle che acquistano (acquistavano?) i giornali, vanno a teatro, frequentano i conservatori e i teatri d’opera e andavano al cinema. Per non parlare delle mosche bianche che dichiarano di acquistare più di 10 libri l’anno. Ovvero la cultura così detta “alta” per distinguerla dall’altra che “bassa” non lo è necessariamente, nel nostro paese ha sempre contato poco più di nulla. Un triste dato di realtà che Serra conosce benissimo.
Quel che ci ammazza non sarà il Coronavirus e neppure i demoni della BCE. Sono le piccole bugie che ci raccontiamo intorno al focolare la sera – l’abitudine soavemente onanistica di fischiettare nel buio per cavar la paura – a impedirci di crescere. E i piccoli, si sa, sono i primi a cadere in battaglia.