Due o tre cose che so di lei (3)

By on Apr 8, 2020 in Contemporaneità

Me ne passavano di cose per la mente oggi pomeriggio mentre facevo la coda davanti al Vigorelli. In fila indiana al caldo del sole pomeridiano a cui non sono più abituato, in silenzio perfetto rotto a tratti dall’interminabile telefonata di un milanese più imbruttito del solito e dalla mite questua di un ragazzo di colore. Chiede la carità risalendo timidamente la fila coperto da abiti invernali, probabilmente i soli possiede, a volto scoperto privo di maschera. Silenzio. Qualche passo avanti. E poi ancora fermi in silenzio. Così per mezz’ora, tre quarti d’ora. Nessuno protesta. Nessun segno d’irritazione. Educati, rigorosi nel mantenere le distanze, forse rassegnati o forse intimamente convinti. Finalmente svoltato l’angolo – moderno miraggio padano –  compare l’ingresso della Coop di via Arona.

Ripenso a ciò che ho letto in questi giorni e che con buona probabilità un sistema giornalistico giunto alla canna del gas mi proporrà di rileggere nei prossimi giorni, e poi ancora e ancora. (Certo, non dev’essere facile riempire le pagine con l’incubo annunciato dei tagli nelle redazioni e nei compensi; certo, non dev’essere semplice raccontare il vuoto pneumatico delle nostre esistenze recluse; certo, dev’essere parecchio difficile riscrivere lo stesso pezzo quaranta giorni di fila: l’infermiere sfinito, il medico stravolto, il nonno morto in solitudine, il figlio che piange la madre, la madre che piange il figlio, lo scaricabarile dei politici, i numeri e le curve eccetera eccetera se non ti chiami Celine, se non sei monomaniacale come Henry Miller, se sei solo un povero cristo a cui è capitato per caso e per sfiga di fare un bellissimo mestiere in un momento particolarmente sfigato.

Ripenso a ciò che ho letto in questi giorni e che, con buona probabilità, un sistema giornalistico giunto alla canna del gas mi proporrà di rileggere nei prossimi giorni e poi ancora e ancora. Gli “scenari” (ah, gli scenari!) che ci descrivono un mondo che – puntualmente – “non sarà mai più lo stesso”. Alle cose – gli abbracci, le strette di mano, le avances in ascensore – che inevitabilmente abbiamo perduto per sempre. Ai viaggi (in aereo, in treno, sul metro e anche sul tram 33) che non potremo più fare. Alla fame, alla miseria, alla disoccupazione: come nel dopoguerra (siamo in guerra!). Alla nuova grande Depressione (peggio che nel ’29!). Al dramma (ai drammi) che il lettore insiste a non voler comprendere: le compagnie aeree stanno per fallire, tutte. Le aziende stanno per fallire, tutte. Il turismo è morto, tutto. Non andremo più da nessuna parte, al cinema, in pizzeria e neppure in vacanza. Per non parlare degli abbracci (gli abbracci!) e delle strette di mano (nota del caporedattore: ricordare in un box l’origine romana del gesto…). Catastrofe. Apocalisse. Fine del mondo conosciuto. Fine di tutto.

Ripenso a ciò che ho letto in questi giorni: l’Occidente morto e sepolto, l’Europa fottuta. La China nuovo ordine mondiale. E noi piccoli italiani, insignificanti, perduti e marginali. Senza soldi, senza idee, senza speranza. Ci ripenso mentre sono in fila e infilo i guanti per afferrare il carrello, orrido verminaio d’impurità; ci ripenso mentre regalo l’euro del carrello al ragazzo nero (il carrello è simile a lui: mestamente libero da legami) e finalmente varco la soglia dell’oasi padana. Ci penso immerso nel caldo prematuro di una primavera avvelenata, e ci ripenso dando la caccia alla farina 00, frustrato dalla vana ricerca di carta igienica. E così, mentre spingo un carrello sempre più pieno di oggetti emergenziali, mi viene in mente l’idea balzana che sì, forse stavolta qualcuno in America noterà che il sistema sanitario europeo non fa poi così schifo; e magari qualche altro spregiudicato scoprirà addirittura i vantaggi sociali della cassa integrazione guadagni.

Finalmente davanti al banco del pesce ho la visione. Mi appare azzurrina e tremula come l’ologramma di Obi-Wan Kenobi. Impossibile non riconoscerla. Ha gli occhi bassi di chi si vergogna (non che sia pentita: ha un salvadanaio al posto del cuore). È lei, è la cicciona rapita da Zeus a scopo di libidine. È avvolta nella bandiera con le 12 stelle. Come i mesi dell’anno. Come gli dèi dell’Olimpo. Come le fatiche di Eracle. Come il numero dei Titani e delle Titanidi. Come i Paladini di Carlo Magno. Come i Cavalieri della Tavola Rotonda. 12 come i cilindri delle vere Ferrari. Alza gli occhi globulosi e mi fa: “Ci ho pensato, sai. Stavolta non volevo cedere. Poi però mi sono chiesta: ma se li mando in mona, a chi mai venderò tulipani olandesi e auto tedesche?”.

index