Intervista di Roberto Saviano a Edward Snowden. Di norma in questi casi si usa l’aggettivo “inquietante”. È comodo e pratico come un mocio Vileda. Va bene per le dichiarazioni di Salvini come per quelle di un pentito di mafia. Figurarsi se il tema è “la più grande violazione di massa della privacy mai accaduta in una democrazia… Attendevo questo libro da anni e tra le mani ho non il diario di un esiliato, né il racconto di un testimone, ma la lucida analisi di un intellettuale al quale ho molte domande da porre” scrive Saviano.
Le parole sono importanti? Poiché penso che sì, rileggo e riscrivo: “la più grande violazione di massa della privacy mai accaduta in una democrazia” e “tra le mani ho non il diario di un esiliato”. Ora si dà il caso che Snowden viva a Mosca (rifugiato, ospite, studente fuori sede?) città che non è sinonimo di luogo ameno dove libertà e democrazia sono curate come fragole di serra.
“Lotto perché Internet torni di nuovo libero. Zuckerberg? Si pentirà” sostiene Snowden. Battaglia più che lodevole. Anche se appare davvero singolare che un paladino della libertà e della democrazia come Saviano non esprima neppure un sospiro sull’uso che Russia e Cina fanno di Internet e della democrazia; sul controllo a cui sono sottoposti milioni (miliardi?) di individui. Sul perché a Hong-Kong siano in molti ad essere “preoccupati” per la libertà e la democrazia di Internet, ma non precisamente per l’uso che ne fa il signor Zuckerberg.
Roberto Saviano, l’eroe a cui tutti i democratici e, allargando la cerchia, le persone che aspirano a vivere nel rispetto della legge, mi ricorda un po’ (anzi parecchio) ciò che eravamo noi ragazzotti nei ruggenti ’70. Quando nelle piazze bruciavamo le bandiere a stelle a strisce senza farci troppo impensierire dagli SS20 puntati sull’Europa, senza troppo scaldarci se dall’altra parte qualcuno si dava fuoco in nome della libertà. Il nemico stava sempre e solo a Occidente. E a quanto ancora oggi chi spia, manomette, controlla, è rigorosamente sempre e solo l’amico amerikano.
Strabismo endemico, malattia che va sotto il nome di paradosso della democrazia, l’unico posto al mondo dove si può dire tutto e il contrario di tutto, credere o praticare l’ateismo, esser vegani o mangiare carne, baciare Lucio in luogo di Lucia senza il timore di finire ammazzati o in galera. Ma Roberto Saviano, lo scrittore vittima del suo stesso successo, forse è troppo preso dal suo ruolo per rammentarlo.