“Tunner, noi non siamo turisti, siamo viaggiatori. Ah, che differenza c’è?”
(“Il te nel deserto”, 1990, Bernardo Bertolucci).
La differenza c’è, e bella grossa anche. Ma di questi tempi difficile da praticare. Masse sterminate di turisti affollano i dehor la cui vastità è diventato il tratto distintivo di ogni città d’arte che si rispetti. Per non parlare di siti museali, chiese e monumenti, conquistati in fila per sei alla ricerca di un’esperienza che, vista natura e qualità dell’equipaggiamento (abiti, calzature e casermaggi vari) è arduo ritenere appartenente alla ragione estetica.
Così ciò che distingue il viaggiatore dal turista è forse l’interesse per le storie generate dagli incontri, oltre alla conoscenza tecnica ed affettiva degli “oggetti” che motivano al viaggio: opere d’arte, forma urbis, paesaggi e cibi. Potremmo quindi concludere che il viaggiatore a differenza del semplice turista è un curioso che conosce lo spettacolo a cui sta per assistere e, al tempo stesso, ama deviare e perdersi seguendo l’esempio dei flaneur.
Scegliendo da viaggiatore piuttosto che da turista può accadere di imbattersi in un albergo (o locanda?) in cui ogni superficie ed ogni spazio sono decorati a mano dalla proprietaria: la stanza blu, quella rossa, quella arancione, quella oro e argento; e pure i corridoi e le scale, quest’ultime concepite secondo la logica di Escher, l’ascensore i pavimenti e il bagno di servizio al primo piano. Ogni cosa è illuminata dall’estro verrebbe da dire spontaneo sino alla biologia della piccola signora che riscrive a suo modo l’arte del Novecento: guarda là, è un Tinguely! E quello non è forse un omaggio a Picabia? E laggiù un Baj, uno Chagall, un Pollock e una spruzzata di Kandinsky…
L’origine di questa artistica follia sta nell’attesa del grande amore, “dell’anima gemella” come precisa l’albergatrice-artista narrando la sua storia. Ricerca coronata da successo grazie all’intercessione di uno specialista, il portentoso santo che dà il nome alla basilica le cui cupole fanno capolino dalle finestre dell’albergo. L’amore vince sempre, affermava quel tale mantovano. Uomo fortunato che mai assistette alle fatiche dei turisti che sotto il sole giaguaro volgono lo sguardo obbedienti alla promessa fallace di una bandierina.