La figlia di un’amica è in Cina. Un viaggio di studio organizzato dalla sua università. Tra sorprese e stupori, quello che sin’ora l’ha colpita di più è la ricevuta di un acquisto compiuto il giorno prima che mostra l’immagine del suo volto. Come avranno fatto si è chiesta un po’ spaurita, quando mai mi hanno ripresa, come possono avere tutto sotto controllo. È noto che in China i sistemi di riconoscimento facciale sono diffusi in modo capillare e progrediti al punto di schedare il volto di ogni persona: milioni di quelle facce che a noi sembrano tutte uguali. Il passo successivo (o quello precedente?) è la pagella del cittadino, il documento che dà i voti ad ogni abitante della repubblica popolare e che sancisce il grado di autonomia (di libertà?) di cui può godere il singolo individuo: un presente di tranquilla paura che prefigura un futuro da incubo.
Mentre i chinesi sono impegnati a diventare i padroni dell’Intelligenza artificiale, anche qui in Occidente non si sta con le mani in mano. Milioni di persone, tra le quali anche qualcuno di mia conoscenza, hanno allegramento donato qualche altra palata di informazioni personali ai signori della rete attivando FaceApp, l’applicazione per invecchiare o ringiovanire il proprio volto. Lanciata nel 2017, è stata recentemente migliorata da una serie di aggiornamenti che consentono di realizzare scatti molto più realistici e molto più appaganti. E quindi boom!, è esplosa quella che in gergo viene chiamata “FaceApp Challenge” con le bacheche Instagram e Facebook invase dalle foto dei volti invecchiati di grandi e piccini.
Mentre i chinesi non possono sottrarsi al controllo del loro Grande Fratello, è davvero fantastica la facilità con cui regaliamo i nostri dati più personali e più intimi. Il grande Zuck come sempre neppure ringrazia.