Che strano. Mi sarei aspettato che la trascrizione proposta da “Repubblica” della conversazione avvenuta tra il presidente russo e il direttore del Financial Times Lionel Barber avvenuta a Mosca lo scorso 26 giugno avrebbe suscitato un vespaio di reazioni. E invece, a parte un intervento di Gad Lerner, le dichiarazioni del premier russo sono passate praticamente sotto silenzio. Nonostante la cupa pesantezza neppure post-staliniana ma addirittura di conio zarista. Un attacco alla democrazia liberale che neanche Joseph de Maistre massimo teorico della restaurazione, amante della forca e fedele servitore dello zar Alessandro I.
Si chiama Daenerys, Daenerys Targaryen, la Madre dei Draghi della serie “Game of Thrones” il cui nome insistono a pronunciare “Deneris” quando la dizione corretta sarebbe Vladimir. Come Daenerys anche Putin detesta i traditori sopra ogni cosa; come Daenerys non esita riguardo alla punizione che li attende; come la biondissima regina della serie fantasy più seguita al mondo anche Vladimir disprezza la democrazia liberale a suo dire incapace di difenderci dagli “stupri e violenze perpetuati dai migranti”.
Purtroppo le somiglianze tra lo zar russo e la Madre dei Draghi finiscono qui; così mentre le mirabili fattezze di Emilia Isobel Euphemia Rose Clarke, questo è il nome dell’attrice che interpreta Daenerys, sfumano dolcemente, la fissità degli occhi saureschi dell’autocrate russo non ci abbandona. Il capitalismo non ha bisogno di essere democratico per funzionare, anzi. Funziona meglio (leggi: consente a un gruppo di oligarchi di guadagnare immensamente) in assenza dei fastidiosi lacci e laccioli tipici della democrazia liberale: la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, il rispetto e la tutela delle libertà individuali e politiche.
È questa la lezione dell’ex-colonello del KGB, il magico mondo delle democrature o delle parodie di democrazia che, come il capitalismo di stato cinese, sanciscono la libertà di arricchirsi a condizione di non interferire con la politica, mai e a nessun livello. Come Daenerys anche Putin non si pone problemi se il traditore di turno muore avvelenato per le strade di Londra. Come Daenerys nella finzione, nessuna incertezza etica neppure per Putin nella realtà: se per conquistare la Cecenia è necessario mettere a ferro e fuoco tutta Groznyj, lo si faccia e alla svelta. Con la certezza che, se non valse la pena di morire per Danzica, non lo sarà neppure per il Donbass, per non parlare di una remota sfigatissima regione caucasica.
A Washington dall’altro capo dell’oceano mare oggi non siedono presidenti di salda statura morale. Non c’è l’aristocratico poliomielitico e nemmeno il sorridente provinciale a cui piacevano le stagiste, e pure la stagione dell’abbronzato pare definitivamente tramontata. Sul Trono di Spade sta seduto un palazzinaro intento a sfasciare l’idea stessa di Occidente: quel luogo mentale prim’ancora che fisico in cui si riconoscevano le democrazie liberali. Nazioni colme come una borraccia da boy-scout di ipocrisie e nefandezze, ma nonostante ciò ancora disponibili a distinguere tra libertà e lager, libertà e gulag. Pronte a fare affari con chiunque, ma al tempo stesso non ancora ammutolite di fronte alle peggiori forme di totalitarismo.
Oggi quell’identità occidentale in cui bene o male ci si poteva riconoscere nonostante i contrasti e le contraddizioni non esiste più. Saranno contenti i puri e duri delle sinistre infantili d’Europa che dopo settant’anni di “yankee go home” possono finalmente assistere al funerale dell’Alleanza Occidentale nata dalla guerra antinazista. Un obiettivo a cui lavorò inutilmente per cinquant’anni la miglior diplomazia dell’Urss raggiunto oggi in un batter di ciglia dall’inaudita amicizia che lega Donald il piccolo a Vladimir-Daenerys il grande zar di tutte le Russie.