Poiché mi voglio abbastanza bene, vi risparmierò l’aforisma sulla storia che si ripete sempre due volte, che poi nel caso nostro potrebbero essere anche tre o quattro: non essendo un popolo che fa le rivoluzioni, tendiamo istintivamente alle ripetizioni che come tutti sanno è assai meno faticoso.
Evitiamo quindi confronti con il passato prossimo, vicende come quella avvenuta nella tarda primavera del ‘40 quando attaccammo coraggiosamente la Francia sulle Alpi Occidentali cogliendola di sorpresa anche se, raccontano le cronache, non del tutto impreparata. Il passato è passato. Concentriamo sull’oggi. Sulle opportunità intendo. Da cogliere come si coglie lo spirito del tempo. E il nostro tempo – non essendo un popolo che ama le rivoluzioni – non può che essere una ripetizione, meglio: una riedizione, della nostra idea di sovranità.
Che senso ha polemizzare sui gilet gialli, quindi. Tra l’altro ambigui, stando al codice stradale inducono a ritenere che si sia verificato un incidente stradale, e pure di consistenti dimensioni; basta anche con la storia del Franco Africano, o come diavolo si chiama quella moneta coloniale; per non parlare della Libia, un deserto zeppo di tagliagole armati sino ai denti (e oltre).
Stiamo al concreto, che è poi lo spirito del tempo, e andiamo al sodo, come si usa dire nelle Cancellerie da Metternich in poi. La questione vera con la Francia e con il signorino che sta all’Eliseo, riguarda la Contea di Nizza e della Savoia, strappate all’Italia per colpa di quel massone di Cavour. Per tacere della Corsica, incautamente ceduta a garanzia nel 1768 da quegli sfessati della Repubblica di Genova.
(Ci sarebbe poi un quadretto, un olio su tavola di pioppo. Raffigura una signora enigmatica che sorride senza apparente ragione. Anche su quello – restituzione? comproprietà? affido congiunto? – lo spirito del tempo potrebbe far valere le sue buonissime ragioni).