Considero la storia delle idee uno degli ambiti di ricerca più stimolanti oltreché utili. Intendiamoci, il sapere disprezza per definizione il concetto di “utilità” che inevitabilmente finisce con lo scadere nell’utilitarismo più bieco: ricordate le tre “i” del cavalier Berlusconi? Interessante in proposito leggere l’invito lanciato da Antonio Gramsci nel 1932 a proposito dello studio del greco e del latino: “Non si imparava il greco e il latino per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si impara per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente”.).
Ma in che modo, oltre all’ideale gramsciano di consapevolezza di sé, sarebbe “utile” la storia delle idee? E’ l’ambito della ricerca storica che si occupa della genesi e della evoluzione dei concetti e della loro declinazione nei vari ambiti dell’esperienza umana, filosofici, culturali, sociali, estetici, politici. Disciplina complicata persino più della meccanica quantistica, impone frequentazioni culturali multiple e più che salde conoscenze dei principali ambiti del sapere umano; un mestiere per anziani insomma, una riva a cui si approda dopo decenni di studi e fatiche.
Un classico della storia delle idee – classica l’opera e classicissimo l’autore – sono “Le radici del romanticismo” di Isaiah Berlin. Ricordo che lo lessi sulla Milano-Canzo-Asso, in un periodo di fortunato pendolarismo ferroviario che mi consentiva di leggere abbastanza indisturbato.
Leggendo di Herder e della sua battaglia per le identità culturali e nazionali, leggendo di Vico e dei “romantici moderati” Kant, Schiller e Fichte contrapposti ai “talebani” Schelling, Schlegel, Tieck e Hoffmann, non solo ho potuto (finalmente!) comprendere qualcosa di più su una stagione che ha rappresentato una delle più grandi rivoluzioni cognitive dell’umanità ma anche, come direbbe il pur valido Veltroni, sulle origini della Lega prima maniera, quella dell’Umberto Bossi del Roma ladrona e della secessione (sic). Perché noi veniamo da lì (non da Bossi intendo) dalla voragine apertasi quando il secolo dei Lumi esala gli ultimi respiri sotto i colpi di un Romanticismo che è tutto il suo contrario, progresso e reazione, conservazione e innovazione, delirio e ragionevolezza, aspirazione e disperazione, estasi e depressione…
Ce ne sarebbe più che abbastanza, eppure non basta. Sul finire del suo lavoro Berlin ci consegna le tracce più interessanti, quelle che portano direttamente a noi: le maligne ramificazioni politiche del Romanticismo che sfoceranno nell’irrazionalismo e nel superomismo dei totalitarismi fascisti; mentre altre, a conferma nel profondo dualismo del movimento romantico che Berlin ritiene le più autentiche, contribuiranno invece alla nascita della moderna concezione liberale e democratica della società.
Nel 1990 viene pubblicato un lavoro iniziato da Berlin negli anni ’50. E’ il saggio dedicato a Joseph de Maistre https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_de_Maistre il reazionario di purissimo conio vissuto a cavallo trsa Sette e Ottocento, il cui titolo più significativo non potrebbe essere: “Joseph de Maistre and Origin of Fascism” nel quale “si constatava la capacità del conte savoiardo sia di prevedere i principi ispiratori delle dittature fasciste sia le delusioni a cui sarebbero andati incontro coloro che, colmi di fiducia razionalistica, avessero creduto nella possibilità di un mondo sociale armonioso”. La rinascita dei nazionalismi, degli odi etnici e la rinnovata moda delle pulizie etniche ne danno piena conferma.
Caduto il Muro di Berlino e con esso il regime sovietico, scrive Berlin: “Possiamo solo essere felici di aver visto cadere in rovina la Torre di Babele sovietica… ma se qualcuno avesse voluto annoverare un merito al comunismo, avrebbe potuto sostenere che Stalin aveva almeno tenuto il nazionalismo a bada e impedito che la Babele etnica affermasse anarchicamente le sue ambizioni”. Difficile dargli torto.