Quando un Re muore

By on Lug 24, 2018 in Comunicazione, Contemporaneità

Ci sono fatti che fanno carriera. Cambiano status e si trasformano in marcatori. La malattia di Sergio Marchionne, la sua dipartita professionale e l’inevitabile rapida sostituzione, è un esempio perfetto. Non solo – come ha magistralmente documentato Michele Serra sulle pagine di Repubblica – testimonia l’ennesima separazione tra la così detta sinistra, ormai talmente scissa e conflittuale che neanche i Roses al tempo della loro guerra cinematografica, ma andando ben oltre i tradizionali confini degli odiatori da tastiera eccita le secrezioni di una categoria affatto nuova e sempre più vitale: i tuttologi.

Un tempo, diciamo prima dell’avvento del web, questa categoria ontologica la incontravi davanti ai listini di Borsa: nasce da lì la fortunata espressione del mio amico Buddy “panino e listino”; oppure stazionava nei pressi dei “lavori in corso” sorvegliandone l’andamento e la cura conquistandosi la qualifica di umarell; agitava la vita di bar e caffè con interventi il più delle volte non richiesti sulla composizione ideale della Nazionale (Maggiore) di Calcio, categoria “60 milioni di C.T.”; e infine animava la vita di relazione nei saloni dei parrucchieri proponendo (imponendo) interpretazioni e pareri su ogni categoria dello scibile umano: dalla vita sessuale dello zibetto ai cento modi per cucinare il dinosauro alla panna. Oggi la benzina è rincarata come cantava Paolo Conte, ma il web continua purtroppo ad apparire gratis; non lo è, come dimostra Maurizio Ferraris nel suo saggio Postverità e altri enigmi, ma sembra. E sembrandolo offre alla categoria dei tuttologi già incontenibile di suo una formidabile spinta propulsiva che la Rivoluzione d’Ottobre al confronto fa Rosina.

Il tuttologo sul web è l’uomo (meno spesso: la donna) più incurante del pericolo e delle sue immediate conseguenze, il ridicolo. Che la questione sia la Tap o la Tav, la Xylella o la pertosse, l’ultima traduzione di Moby Dick o l’acquisto di CR7 da parte della Giuve, il tuttologo ha sempre un’opinione. Che espone, chiosa ribadisce, e sostiene dieci, cento volte, anche a dispetto di evidenze così clamorose da piegare la schiena ad un bufalo Cafro. La successione di un moderno sovrano quale è un manager della statura di Marchionne è per il tuttologo come la ghianda per il maiale, un manicaretto irresistibile.

Non importa che si stia parlando di una macchina di gigantesca complessità (produttiva, organizzativa, logistica, normativa, finanziaria, progettuale, sindacale) indagata passo passo da centinaia di enti e istituzioni che analizzano quotidianamente ogni capello della corporate spaccandolo in quattro e poi in otto e infine in sedici; il tuttologo deve dire la sua su scelte (passate, presenti e future) nomine, valutazioni, strategie e prodotti, valutando, commentando e giudicando senza conoscere fatti, situazioni e contesti.

Diciamola tutta: senza saperne un cazzo, tuttavia sbandierando l’assoluta serena certezza propria dei due campioni della categoria, gli irraggiungibili Bouvard e Pécuchet, gli eroi dello stupidario fatto sistema eternati dal genio di Flaubert. Purtroppo mentre ai loro tempi la cazzata restava contenuta in una ristretta dimensione analogica, i moderni epigoni avverano la funesta profezia di Umberto Eco sugli imbecilli digitali. Diffondi una cazzata oggi, diffondine una domani e anche l’antinfluenzale finirà coll’apparire ai poveri di spirito un vezzo da radical chicchissimi. La sola consolazione è pensare che Marchionne l’antifamilista per eccellenza di cazzari e improvvisati deve averne fatto strame a palate nel corso del suo troppo breve regno.

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