Circola un’affermazione attribuita a Ettore Sottsass, l’architetto e designer scomparso di recente, riguardo alle responsabilità degli industriali. Li chiamava proprio così usando un termine divenuto desueto da quando i beni intangibili sono ritenuti più importanti di quelli banalmente fisici (la parola magica oggi è “imprenditore”).
Sosteneva Sottsass che la responsabilità degli industriale è grande poichè corrisponde al numero dei prodotti immessi sul mercato, milioni e milioni; farli “belli” oltrechè funzionali diventava quindi un imperativo morale perchè (anche) da essi dipende la bellezza del mondo. Un ragionamento che condivido appieno: oltretutto farli “belli” piuttosto che “brutti” costa largo circa allo stesso modo. Inevitabile ripensare al mitteleuropeo Sottsass grande interprete della più bella stagione di Olivetti entrando (non so come chiamarlo: nel punto vendita? flag shop? Entrambi sono riduttivi) Apple a Parigi. Una visita che più casuale non si può – mai avrei pensato di sprecare una frazione anche piccola del mio tempo parigino in un negozio Apple – ma pioveva e non avevo l’ombrello.
Una più che consistente superficie in uno dei chilometri quadrati più cari oltrechè più chic al mondo, Faubourg Saint-Germain. Sale dall’imponente volumetria anche in altezza che si susseguono senza soluzioni di continuità; spazi dedicati per tre quarti alla dimostrazione-divulgazione tecnica e solo per il restante quarto alla vendita; una buona decina di persone a disposizione del pubblico per insegnare ad usare gli strumenti: computer, tablet, telefoni, accessori; ricarica gratuita delle batterie (di cui ho immediatamente approfittato); sessioni di tutoring e demo; disponibilità, competenza, gentilezza (“No signore, le t-shirt e le felpe che indossiamo sono in vendita solo nella sede in California”). Una dimostrazione impressionante d’intelligenza applicata, la declinazione del positioning aziendale che supera le più visionarie idealizzazioni; ed anche la presenza della giovane competente commessa obesa, la cui folta peluria in volto ne palesava le sofferenze ormonali, era un inno al rispetto e alla liberalità.
Un tempo i prodotti “belli e funzionali” li facevamo noi. All’Olivetti ad esempio. (La “Valentina” è una creatura di Sottsass). Purtroppo, per fare prodotti “belli e utili” oltre ai designer ci vogliono gli industriali. Quei signori che magari non azzeccavano un congiuntivo, per non parlare dell’intimità con le lingue straniere (non era il caso di Adriano Olivetti, evidentemente) ma che avevano un’idea molto chiara di dove mettere i loro soldi. Adesso quando li incontri per ragionare su come far crescere la loro azienda, è una miseria più che una tragedia: un invalicabile canyon culturale prim’ancora che progettuale separa il povero artigianello del design (di prodotto come di processo) da chi nel migliore dei casi sa pensare solo ai costi e mai ai ricavi.
Aspettando che spiova ho chiesto all’ennesimo giovane competente commesso, lo stesso che nella foto vedete dialogare con le signore portoghesi, quanto costasse la custodia originale dell’Ipone 6. La “coque”? (pronunciano così) trentanove euro in plastica, cinquanta in pelle, monsieur. Un aspetto questo del costo che vede Apple un po’ deficitaria rispetto alla definizione originale di design (“progettazione che mira a conciliare i requisiti tecnici, funzionali ed economici degli oggetti prodotti in serie… “) ma si sa, nessuno è perfetto. Neppure gli industriali più intelligenti del mondo.