Mamma ho perso l’Ikea

By on Nov 29, 2017 in Contemporaneità

Una particolare forma di ritrosia mi impedisce di prendere l’areo. Non un modello e neppure una compagnia in particolare. Un fatto, una circostanza, affatto originali: si contano a milionate le persone che se la fanno sotto all’idea di prendere il volo. Per quel che mi riguarda, la mia motivazione alla reticenza nasce dalla consapevolezza che dietro (davanti e di lato) ad un oggetto più pesante dell’aria destinato a solcarla ci sia un’azienda. Anzi, più di una: quella che costruisce le macchine volanti e quella che le manutentiene; quella che le fa volare in senso proprio e quella che li accudisce: dalla pulizia dei gabinetti al pieno di cherosene. Per non parlare delle altre aziende che controllano i passeggeri e poi il veivolo in volo eccetera eccetera.

Ammesso che possa interessare qualcuno, io amo le aziende. Senza loro – produzione/distribuzione moderna – torniamo agli alberi degli zoccoli che piacevano tanto a Pasolini e alle sue lucciole, ma che significavano anche (e soprattutto) fame, pellagra, botte e analfabetismo. Purtroppo, le aziende (tutte senza eccezione alcuna) sono organismi soggetti a malattie. Chi più chi meno, ma tutte (tutte senza eccezione alcuna) la loro brava cazzata la fanno. Prendete l’Ikea maestra indiscussa di progressismo liberale, l’azienda che per prima ha sdoganato la libertà della persona di essere prima ancora che avere: giovani e vecchi, bizzarri e normotici, eterosessuali o gay dichiarati (eccetera eccetera) le persone in quanto tali sono state rappresentate in una sorta democratico elogio della diversità e del rispetto per la diversità, che è poi il sale della vita. La diversità intendo, ma anche il rispetto.

Poi questa brutta storia della signora, 17 anni d’anzianità aziendale, separata, due figli uno dei quali handicappato. Licenziata in tronco perchè non rispettava i nuovi turni. Non ce la faceva, dicono in azienda. E quindi fuori, accompagnata all’uscita.

Ora qualcuno dice che è stata un’iniziativa particolarmente imbecille del direttore del magazzino di Corsico. Qualcun altro, più sospettoso, sostiene che no, è una politica aziendale, le multinazionali, figurati. Non so chi abbia ragione, se il primo, il secondo o entrambi. Mentre scrivo pare che l’azienda stia facendo “marcia indietro” che, detto tra noi, non è mai stata in nessun contesto retorico la più felice delle metafore.

Come andrà a finire? Spero bene per la signora e per il suo piccino handiccappato. In ogni caso sarebbe interessante fare due conti spicci come si dice a Roma sul costo di questa “intelligente” iniziativa aziendale in termini di immagine e di credibilità: palate e palate di investimenti pubblicitari coraggiosi e intelligenti buttati nel cesso senza neppure tirare lo sciacquone.

Per quanto mi riguarda, in attesa di saperne di più oltre a non prendere l’aereo ci penserò due volte prima di acquistare un Pugg, un Äpplarö, piuttosto chre un pur valido Behandla. Le aziende, anche le più intelligenti, troppo spesso comprendono solo un linguaggio: il canto del registratore di cassa.

 

index