A proposito di Facebook

By on Nov 24, 2016 in Comunicazione

Per lungo tempo ho abitato FB per dovere di ruolo con la beata ingenuità di chi è convinto di condividere il proprio diario solo con gli amici e con i conoscenti veri. Come sarebbe poco credibile un macellaio vegano, così lo è un comunicatore senza profilo social, e quindi avevo aperto il mio bravo account in chiaro. Confesso che già allora ero orripilato da gattini e fregnacce, anniversari e ricorrenze, ma riuscivo a contenermi e l’apertura delle pagine avveniva su blande frequenze quindicinali.

Poi FB è cambiato. E sono cambiato pure io. Nel senso che il social più diffuso al mondo è diventato uno specchio del mondo irrinunciabile ormai anche per le imprese. Da social personale (e diciamolo: pure assai cazzaro) è diventato molto più di Linkedin il posto ideale (va be’, “ideale” tra virgolette) per le aziende. Il perché è più semplice di un sillogismo di Salvini: su FB trovi qualunque tipologia di target, professionale e di consumo. Esclusi gli appartati, gli analfabeti digitali, gli snob incorreggibili e coloro che poveretti non riusciranno a passare l’inverno (i PPH come si diceva una volta in francese) tutti gli altri razzolano più o meno felici.

Sono grato ad FB dal momento in cui ho iniziato ad allargare la mia cerchia iniziale. Ai venti “amici” iniziali ho pian piano aggiunto giornalisti e opinionisti più o meno famosi, imparando a “dare e chiedere l’amicizia” con la stessa facilità con cui le commesse sciroccate ti danno del tu. Ma il valore di questa esperienza non sta tanto nello scambiare post con questo o quell’opinionista con i quali condivido idee e concezioni della vita, quanto invece il confronto con persone la cui frequentazione non solo non mi interessa, ma addirittura mi risulterebbe problematica se non  decisamente sgradevole.

La ragione di ciò sta nel fatto che, se usato con misura e intelligenza, FB ti aiuta ad uscire dalle “echos chambers”, a smetterla cioè di confrontarti esclusivamente con chi plausibilmente la pensa come te, ha la tua stessa sensibilità, visione della vita e orientamento politico, perché non c’è nulla di più semplice ma anche rischioso di “fare amico” con chi ti somiglia. Il rischio concreto è di non imparare più niente, di non scoprire più niente, di non capire più niente. Come quegli anziani che all’edicola alternano l’acquisto de “Il Giornale” a “Libero”, a seconda del grado di sconforto e di incazzatura che hanno maturato la sera prima. A piccole dosi, con cautela (la differenza tra un farmaco e un veleno sta nella quantità dicevano i Greci) sono convinto che FB ti aiuti ad evitare “l’effetto Trump”, ovvero la sorpresa di scoprirsi a vivere in un paese totalmente diverso da quello che si pensava.

Certo, FB è anche – anche, non solo – una teoricamente infinita parete del cesso sulla quale i sinistrati di ogni ordine e grado scrivono (sarebbe meglio dire: urlano) le loro sconcezze. I miei amici giovani, che sono intelligenti e saggi, mi tranquillizzano spiegandomi che no, gli imbecilli, gli ignoranti e i violenti non sono stati moltiplicati dai social, c’erano anche prima nella stessa misura. FB ha dato un po’ di spazio e di visibilità.

La cosa triste di FB è un vizio nel quale casco puntualmente anch’io. Si chiama sindrome da condivisione e consiste nel far girare lo stesso contenuto, video, petizione, fotografia o gif. Contenuto pensato e realizzato da altri che appare e scompare per poi riaffiorare carsicamente riesumata da altri ai quali era giunto per altre vie per nulla misteriose in un ciclo di apparentemente eterno ritorno. (Stai a vedere che Nietzsche aveva una qualche ragione?)