Ieri sera l’ospite da Fazio era un giovane uomo alto, bello e vigoroso, il front man dei Coldplay. Un perfetto rappresentante di eurasian way of life, al cui fascino non ha saputo sottrarsi il sempre più imbarazzante Fazio, il quale tra un salamelecco e l’altro chiede al sempre sorridente Chris Martin dei suoi studi di latino. “Oh sì”, risponde largo circa il cantante, “Quindici anni buttati via!”. Boato entusiastico del pubblico e scodinzolamenti incontrollati del povero Fazio, il quale invece di rammentare ad entrambi – cantante e pubblico – la straordinaria e a quanto pare immeritata fortuna formativa toccatagli, ammicca collusivo e apologetico alla popolarità dell’ignoranza.
Il giorno prima mi ero imbattuto in un’intervista di Tullio De Mauro, decano dei linguisti italiani. Tra le molte cose acute dette con intelligenza spiritosa (il che non è né frequente, né scontato) De Mauro ci informa sulle due più grandi potenze formative del mondo, Corea e Giappone. Non solo sanno unire quantità e qualità, ovvero inclusione scolastica: il 100% degli alunni raggiunge degnamente il diploma, ma entrambi i sistemi scolastici sono impegnati nel recupero e nella valorizzazione delle origini; ovvero dei fondamenti della loro lingua e cultura. Cosa che sta iniziando a fare anche la China. Non solo: pare che la lingua inglese contemporanea sia debitrice alla nostra lingua madre di un cifrone di termini, al punto che scherzosamente alcuni studiosi propongono di definirla “neo-latina” pure essa medesima.
Noi che dovremmo, come ci ricordano i magnati della Silicon Valley, concentrarci sui nostri tesori (arte, cultura, design, saper fare artigiano) per uscire dal tombino in cui siamo caduti, non solo sbeffeggiamo “li maggior tuoi”, ma vogliamo pure cancellare il Liceo Classico.
Eppure lo diceva quasi mille anni fa pure Tommaso d’Aquino: “cave ab homine unius libri” (guardati dal lettore di un solo libro) che pare sia la media della classe dirigente italiana. Un libro all’anno, e magari di quelli con le figure.