A priori

By on Set 20, 2016 in Filosofia

Di Ennio De Giorgi, insigne matematico italiano, non sapevo nulla prima di leggere il contributo a lui dedicato su “La Lettura”. Ignoranza non grave: nonostante lo abbia battuto sul tempo, De Giorgi lo conoscono solo i matematici, mentre Nash lo conoscono tutti per via del film “A beautiful mind”. (Scrivere una sceneggiatura sulla vita di un matematico che non è pazzo e neppure un po’ stravagante è praticamente impossibile). Nonostante abbia letto con attenzione l’articolo ho capito molto poco del suo lavoro, anzi diciamo nulla: la tecnica di generalizzare lo spazio di funzioni per ottenere soluzioni di problemi complicati è davvero troppo per me.

Ma una cosa credo di averla compresa. Le sue implicazioni mi sembrano piuttosto stimolanti. Eccola: “Per le dimostrazioni sarei più portato a parlare di invenzione mentre per gli enunciati dei teoremi sarei più portato a parlare di scoperta; anche perché di fatto la dimostrazione in fondo è il ritrovamento di una delle possibili strade attraverso cui da certi assiomi si arrivi a un certo teorema; quindi ha veramente qualcosa di più inventivo, di costruzione, di quanto non abbia il teorema stesso. Del resto è abbastanza frequente che due matematici trovino in modo del tutto indipendente lo stesso teorema come enunciato, poco probabile che senza essersi mai incontrati diano veramente la stessa dimostrazione”.

 La dimostrazione (del teorema di Pitagora piuttosto che due più due fa quattro) sarebbe quindi un’invenzione, cioè una cosa che non esisteva prima. Di conseguenza le strade per dimostrare una stessa verità matematica possono essere più di una; di norma i matematici amano quelle “più eleganti” perché ritengono che un’equazione che soddisfi anche precisi requisiti estetici – semplicità, compattezza, assenza di costanti infilate forzosamente etc. etc. – sia probabilmente anche la più corretta. La definizione di un enunciato secondo De Giorgi va intesa quindi quale scoperta. Come è noto, le cose che scopriamo – il monte Everest, un esemplare di bertuccia o l’esistenza del bosone di Higgs – esistevano anche prima di essere scoperte ed esisterebbero comunque. Anche se nessun geografo, naturalista o matematico avesse avuto il merito (e la fortuna) di scoprirli.

Ma la bertuccia come l’ennesimo esemplare di ameba, microbo e lo stesso monte Everest, sono il prodotto dell’evoluzione durata milioni (miliardi) di anni. Mentre p greco, per fare un esempio, ovvero il rapporto tra raggio e circonferenza di un cerchio, prescinde l’esistenza nostra, del nostro sistema solare e, mi viene da pensare, persino dell’intero Universo. La matematica esisterebbe comunque, la matematica è un a priori?

Una tesi che, una volta tanto, mette d’accordo credenti e agnostici. Sono certo che Ennio De Giorgi, uomo profondamente religioso e coerentemente impegnato nella difesa dei diritti delle umane genti, fosse convinto che anche la matematica (o meglio: la Matematica) fosse opera di Dio. Ai non credenti resta la meraviglia di un Universo – questo tra i molti multiversi che qualche fisico postula potrebbero esistere in modo parallelo – che risponde in ogni suo angolo delle immense immensità alle stesse leggi, alla stessa grammatica e persino alla stessa sintassi. Un vero peccato per chi come me non capisce nulla di quel meraviglioso linguaggio.