Quando si incontra un libro importante è pressoché inevitabile risalire a tutti i lavori dell’autore. Un percorso simile alle scalate dei bambini sugli alberi – in alto, sempre di più, finché i rami diventano troppo sottili o la paura vince sullo spirito di competizione – anche se la casualità della scoperta non rispetta quasi mai l’ordine cronologico di scrittura, e quindi il percorso può avvenire ritroso nel tempo e nello spazio, che poi è quello mentale dell’autore. “Il bambino sulla neve” di Wlodek Goldkorn è uno di questi. Uno dei (pochi) libri che impone prepotentemente al lettore di leggere tutti gli altri che l’autore ha scritto.
I quattro sfaccendati che insistono a seguire questa fanzina nel frattempo sono forse diventati sette o otto; i più attenti di loro magari ricordano la mia entusiastica appartenenza alla setta dei Bloomiani, il ristretto gruppo di lettori convinti della assoluta giustezza delle tesi di Harold Bloom che così possono essere riassunte: abbiamo poco tempo (variante: ci resta poco tempo); non sprechiamolo leggendo le puttanate che cercano di rifilarci il marketing editoriale, gli algoritmi di Amazon e le marchette dei Premi letterari. Nel dubbio rileggiamoci (o leggiamo ex-novo) Omero, Dante e Shakespeare, in tal modo onoreremo il nostro tempo; e, aggiungo io, diventeremo forse persone un po’ meno peggiori.
Leggere Wlodek Goldkorn è una spesa eccellente del tempo: fa pensare. E spesso, molto spesso, penare. La qualcosa è a volte equivalente. La pena di Wlodek Goldkorn non è la pena che si prova leggendo, che so, Joyce o Gadda, guarda caso gli scrittori più amati dagli scrittori: Goldkorn scrive un italiano bellissimo e scarnificato che pare di camminare tra le doline del Carso. La pena di Goldkorn, la sua e di tutti noi, è il dolore di fronte alla banalità del male.
Salendo sull’albero, o scendendo nel sottosuolo se preferite, ho incontrato “Il ghetto di Varsavia lotta” (La giuntina editore) intervista/testimonianza di Marek Edelman, il vice comandante del ghetto raccolta da Goldkorn. Questa mattina presto per i miei standard, ho letto l’introduzione a cura dello stesso Goldkorn. Sono poche pagine. Invito tutti a leggere almeno queste se il resto del piccolo volume risultasse troppo doloroso. Il tema è la memoria. Come essa cambia nel tempo. E perché è indispensabile che nel suo mutare trovi spazio insieme ad essa anche l’oblio. Per poter vivere. Per dare spazio alla vita. Per sconfiggere la morte. Un tema molto caro a chiunque abbia avuto la fortuna e il privilegio di compiere il viaggio di scoperta di sé che va sotto il nome di psicoanalisi.
Ultima annotazione. Il libro curato da Goldkorn è dedicato ai suoi nipoti. La memoria inevitabilmente cambia, ma non per questo è giustificato dimenticare del tutto.