Com’era inevitabile e largamente auspicato dagli autori, la vignetta di Charlie Hebdo sul destino del piccolo Aylan, il bimbo trovato morto annegato sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, ha suscitato sconcerto, disappunto, indignazione. Emozioni del tutto lecite: è compito (meglio: è natura) della satira provocare sino all’urticazione la pelle sensibile dell’opinione pubblica, il pensiero e la coscienza stessa. Altrimenti non sarebbe satira, ma più banalmente comicità che, appunto, è tale se fa ridere oltreché, si pera almeno un poco, pensare.
Per chi non l’avesse vista, la vignetta incriminata si interrogava sul futuro del piccino se avesse avuto la ventura di diventare adulto, ipotizzando per lui un allegro avvenire di molestatore di donne germaniche. “Sgradevole” è stato il commento di persone di cui ho stima e, soprattutto, fiducia nelle loro capacità critiche; come da copione molto meno misurate invece le prese di posizione dei nuovi e meno nuovi esponenti mediatici del cattolicesimo integralista, per i quali fare i conti con la modernità è un esercizio evidentemente irrisolvibile.
Purtroppo l’altra sera mi imbatto (termine che calza a pennello nel senso che ci sbatto contro) nella seguente notizia che riporto integralmente “Gli uomini che aggredirono le donne a Colonia la notte di Capodanno non sono colpevoli. Lo dice l’imam della moschea salafita Al Tawheed della città tedesca dove a San Silvestro sono state decine le molestie per strada compiute da individui descritti come arabi o nordafricani. Secondo Sami Abu-Yusu, intervistato da una televisione russa, la colpa degli abusi sarebbe da ricercare nelle vittime stesse: le donne – finora sono 521 le denunce – erano vestite all’occidentale, quindi in modo sconveniente, e avevano un profumo in grado di istigare gli uomini alla violenza”. (Intervistato dalla televisione russa, notate; non dalla, chessò, televisione danese, belga o norvegica. Perché certe cose è meglio non dirle nel mondo libero e occidentale? Mah.)
A questo punto è stato inevitabile ripensare allo sconvolgente (per me) articolo di Kamel Daoud, scrittore algerino che vive a Parigi, sui fatti di Colonia.
Scrive Daud: “In Occidente il rifugiato o l’immigrato potrà salvare il suo corpo ma non patteggerà altrettanto facilmente con la propria cultura, e di ciò ce ne dimentichiamo con sdegno. La cultura è ciò che gli resta di fronte a sradicamento e traumi provocati in lui dalla nuova terra. In alcuni casi il rapporto con la donna – fondamentale per la modernità dell’Occidente – rimarrà incomprensibile a lungo, e ne negozierà i termini per paura, compromesso o desiderio di conservare la “propria cultura”.
E ancora
“Il rifugiato è dunque un “selvaggio”? No. È semplicemente diverso, e munirlo di pezzi di carta e offrirgli un giaciglio collettivo non può bastare a scaricarci la coscienza. Occorre dare asilo al corpo e convincere l’animo a cambiare. L’Altro proviene da quel vasto universo di dolori e atrocità che è la miseria sessuale nel mondo arabo-musulmano. Accoglierlo non basta a guarirlo. Il rapporto con la donna rappresenta il nodo gordiano nel mondo di Allah. La donna è negata, uccisa, velata, rinchiusa o posseduta. È l’incarnazione di un desiderio necessario, e per questo ritenuta colpevole di un crimine orribile: la vita. Una convinzione condivisa, che negli islamisti appare palese. Poiché la donna è donatrice di vita e la vita è una perdita di tempo, la donna è assimilabile alla perdita dell’anima”.
E infine
“Nel mondo di “Allah”, il sesso rappresenta la miseria più grande. Al punto da dare vita a un porno-islamismo a cui i predicatori ricorrono per reclutare i propri “fedeli”, evocando un paradiso che più che a una ricompensa per credenti somiglia a un bordello, tra vergini destinate ai kamikaze, caccia ai corpi nei luoghi pubblici, puritanesimo delle dittature, veli e burka. L’islamismo è un attentato contro il desiderio.”.
Dobbiamo dunque fare autocritica, riconoscere che aveva ragione la povera Fallaci, acquistare fucili d’assalto e frequentare corsi di tiro al piattello?
Continuo a pensare che no. Continuo pensare che noi europei dobbiamo avere il coraggio, la forza e la lucidità di integrare in modo paziente e irreprensibilmente severo gli integralisti di ogni ordine e grado, persino quelli di casa nostra, notoriamente i più pericolosi nemici della modernità e della libertà: basti pensare a quanti decenni abbiamo impiegato per avere uno straccio di legge sul divorzio, per non parlar del resto.
Continuo pensare che dobbiamo pazientemente e fermamente integrare alla modernità e alla libertà chiunque bussi alla nostra porta per due (semplici) ordini di ragione.
- La prima: abbiamo un bisogno disperato di sangue giovane e vitale (non è una metafora vampiresca: l’Europa sta morendo di vecchiaia)
- La seconda: se deflettiamo sull’accoglienza, sulla solidarietà, sulla volontà e capacità di educare, formare e far crescere gli individui in modo che possano diventare persone, tutto il nostro millenario percorso di ricerca, trionfi, catastrofi, fallimenti e rinascite andrà perduto. La strada che porta alla convivenza tra i popoli è lastricata di buone intenzioni e molta ipocrisia. Ma è la sola percorribile.
Come direbbe Bertodt Brecht ultimamente ritornato di moda, “è la semplicità difficile a farsi”.