La settimana scorsa all’Istituto Schiapparelli, una scuola superiore di Milano, si è svolta una lezione sull’Isis e le ragioni dello scontro tra sunniti e sciti tenuta da due giornalisti del Corsera. Giunti al termine, il giornalisti consigliano agli studenti la lettura di un saggio (Vali Nasr, La rivincita sciita). Dalle ultime fila si alza una ragazza piccolina, velo in testa, che con tranquilla fermezza afferma come non ci sia niente da comprendere né da leggere oltre al Corano, e di come non ci sia nessun conflitto tra sunniti e sciti (sic). E’ scritto tutto lì, sostiene, non c’è bisogno di leggere altri libri. Applausi vivissimi dei suoi coetanei mussulmani. Silenzio di tomba da parte dei ragazzi nostrani, com’era prevedibile ignoranti come capre.
Nei giorni successivi mi è capitato di leggere un articolo su Tommaso d’Aquino. Fu proclamato santo nel 1323, dopo un periodo in cui le sue dottrine furono condannate dalle autorità ecclesiastiche. Da allora, per secoli il pensiero dell’Aquinate sarebbe diventato tutt’uno con la dottrina ufficiale della Chiesa, imposto a colpi d’encicliche a tutta la cristianità. Al punto che ad essere perseguitati furono coloro, come i gesuiti, che non si conformavano in modo assoluto al tomismo. Fino al Vaticano II, nel senso di Concilio, che decretò la il divorzio tra la teologia cattolica e il pensiero di Tommaso.
Non so se fu un bene o un male. Ciò che invece mi interessa e riguarda me e noi tutti da vicino, è la fiducia che il teologo cristiano ripone nell’uso della ragione e del rigore argomentativo. In tempi di integralismo fondamentalista di ogni ordine e grado (non vanno infatti scordate neppure le affermazioni ratzingeriane sui principi non negoziabili e sul primato della fede sulla ragione) in cui i credenti, si badi bene: pure molti cattolici, rinunciano all’uso della ragione in nome della fede, è forse utile leggere cosa scriveva Tommaso verso il 1260: “Alcuni di essi, quali i maomettani e i pagani, non accettano come noi l’autorità della Scrittura (nel senso dei Vangeli nda)… Perciò è necessario ricorrere all’uso della ragione naturale, cui tutti sono costretti ad acconsentire”. Capito? “Ragione naturale” dice il filosofo della cattolicità. Cioè il pensiero che trova la sua fonte nella natura stessa dell’uomo. (Alla faccia del Medioevo!)
Bisognerebbe spiegarlo ai ragazzi “nostrani” dello Schiapparelli, oltreché alle fanciulle maomettane ignoranti dell’ignoranza iconoclasta e a suo modo coraggiosa tipica degli adolescenti: il vero guaio non è il colore della fede, bensì la chiusura mentale a cui induce l’integralismo. Una specialità in cui noi europei ci siamo distinti per secoli.