Qualche mese fa avevo raccontato di un piccolo saggio di Maurizio Bettini, “Elogio del politeismo”. Se fossi più ordinato saprei linkarlo e via. Invece sono un vecchio tecnopovero, nel senso che uso allo 0,1% le potenzialità del mio cembalo scrivano, sicché vi tocca sorbettarvela di nuovo la tesi del Bettini. In sintesi: quant’erano saggi e sensati gli antichi Romani che inglobavano dèi, miti e religioni. E ognuno aveva la sua, così che le guerre nel mondo antico si conducevano per il potere e non mai per la verità: a nessuno veniva in mente di dire, voilà ti ammazzo perché il mio dio è vero e il tuo falso.
Nel suo piccolo aureo saggio il Bettini sostiene anche un’altra tesi, diventata in questi giorni di stretta attualità; ovvero di come sia egualmente imbecille il vietare la costruzione di minareti nel nostro (supposto) cattolicissimo suolo, sia rinunciare alle nostre tradizioni culturali nel timore di offendere gli altri.
Il primo potremo chiamarlo “posizionamento Oriana” nel senso di Fallaci: vade retro mussulmano, non pregherai nella terra di Santa Caterina! Il secondo, diversamente ma egualmente idiota, è l’atteggiamento preso in passato da alcune maestre d’asilo e oggi dal preside di Rozzano, che propone l’azzeramento di ogni forma di tradizione cristiana nel timore di offendere (ledere? far sentire esclusi?) i piccini di altra provenienza. E così, niente presepe, niente albero, niente Natale. La piazza del paese invasa, tragico compenso, dal solito politico a caccia di cazzate.
Che grande, enorme sciocchezza. La tolleranza, il rispetto, l’inclusione, non avvengono mai per sottrazione, negazione, castrazione. Così come non si capisce perché un italiano musulmano (o un mussulmano in Italia) debba pregare il suo dio in un garage o sul marciapiede di una strada. Se esercitare liberamente la propria fede è un diritto sancito dalla Costituzione, quello di mangiar carne rossa, salsicce di maiale e bere vino, è un altro caposaldo della democrazia, come le recite scolastiche a Natale, le carole e i presepi.
Il rispetto di sé che non diventa offesa recata ad altri – nessuno si sogna di invitare a cena un vegano e di servirgli stufato di cinghiale – è l’essenza stessa del nostro vivere e delle nostre sudate libertà. Si chiama multiculturalismo, la cosa che più terrorizza gli integralisti di ogni ordine e grado, parola magica che io da buon vecchio non credente amo tradurre con la parola promiscuità. Credenti e non credenti, donne e uomini, etero e gay, carnivori e vegani, liberamente diversi, liberamente insieme. (E potremmo continuare: ciclisti e motociclisti, gattofili e canini, verdiani e wagneriani, laziali e romanisti…).
La civiltà, come la corrente elettrica, si nutre di diversità. Se tutti sono uguali, la luce non s’accende.