Vivere nel nostro tempo

By on Mar 28, 2015 in Contemporaneità, Filosofia

“Cerca di non vivere nel tuo tempo” recita un aforisma squisito di Georg Christoph Lichtenberg che ho scoperto grazie ad Alfonso Berardinelli (Aforismi Anacronismi, Nottetempo, 6 euro).

Suggerimento prezioso. Essere inattuali, come raccomanderà Nietzsche qualche anno dopo probabilmente influenzato da questo suggerimento, mette nella posizione di distacco che sola può (il condizionale è d’obbligo) consentire di leggere il tempo in modo disincantato.

E’ ciò che tento di fare da “Charlie Hebdo” in avanti, dopo la sbornia dei sacrosanti “Je suis” in cui molti (molti, ma non tutti) si sono (ci siamo) identificati con la rivista e con il gruppo degli anarco-libertini senza freni nè limiti.

Il punto è questo, credo sia questo: è giusta, o meglio: è sensata, l’assenza di limiti? E’ possibile essere liberi di dire ciò che si pensa riguardo alla religione?

La riflessione fa rientrare dalla finestra un argomento che a noi laici pareva uscito dalla porta con l’avvento di Bergoglio, il Papa che dopo più di un secolo di convenzione clericale ha imposto un passo indietro alla Chiesa riguardo alla politica italiana. (Quanto durerà questo stato di grazia non è dato di sapere; per il momento lunga vita al Papa argentino).

Purtroppo, fare i conti con la religione, o meglio: con le religioni, dopo Parigi è una realtà nuovamente inevitabile anche da parte di chi considera la teologia, la mistica e le dottrine religiose in generale un insieme di nozioni alquanto insensate e francamente disgiunte dall’idea di modernità. Basti pensare ad esempio ai 613 mitzvot o precetti stabiliti dalla Torah, 248 dei quali sono obblighi positivi e 365 sono comandamenti negativi; ovvero osa devi fare e cosa non devi fare, che a rispettarli tutti c’è da diventare pazzi come gli ultraortodossi, oppure grandi umoristi come Woody Allen.

La religione, le religioni, il “pensiero religioso” (scrivendolo mi è venuta un’associazione con il “pensiero selvaggio” di Lévi-Strauss e con il sistema di analisi strutturale che procede per opposizioni: freddo/caldo, crudo/cotto eccetera) sono realtà culturali di cui, per il momento almeno, non ci possiamo liberare.

Non avrebbe senso, quindi, sostenere in toto la pur affascinante linea francese del “liberi tutti”. Non perchè sbagliata, ma in quanto insensata. E’ la tesi di Tristan Todorov, studioso di storia delle idee bulgaro-ebreo-francese (un perfetto esempio di europitudine) il quale da subito ha sostenuto la tesi dei poteri limitati. In democrazia ogni potere, sostiene, ha necessariamente limiti e contrappesi che gli impediscono di diventare dominante (rispetto agli altri) e con ciò minare l’essenza della democrazia che è equilibrio. Anche la libertà di pensiero/parola ha quindi dei limiti.

A questa riflessione si aggiunge quella del filosofo Galimberti. Che in modo molto più diretto afferma che se la libertà è un diritto, la bestemmia invece no. Le guerre di religione sono le più terribili, sostiene Galimberti, e le distanze religiose più abissali di quelle ideologiche o economiche, perchè le prime mettono in campo dinamiche di natura pre-razionale, dove le differenze (le distanze, le contrapposizioni, le opposizioni) non sono di “posizione” ma “antropologiche” e in quanto tali non mediabili. Se si mettono in gioco, conclude, le figure pre-razionali dell’identità e dell’appartenenza, il conflitto diventa irrimediabile e totale. Come ben sappiamo noi europei che per ragioni religiose ci siamo voluttuosamente tagliati la gola a vicenda per quasi un millennio.

La conclusione sarebbe quindi in linea con il noto proverbio “scherza coi fanti e lascia stare i santi”, in attesa che l’umanità nel suo complesso esca dalle posizioni pre-razionali per irrompere gioiosamente nell’adultità del libero pensiero (campa cavallo).

Di diverso avviso è Paolo Flores D’Arcais, il quale sostiene che “la laicità è diventata una questione di vita e di morte, alla lettera, Costituisce, non a caso, la questione cruciale della democrazia … La strage della redazione di Charlie Ebdo è una dichiarazione di guerra alla libertà d’espressione, alla laicità, al disincanto, alla modernità”. Attaccare la libertà d’espressione significa minare il cuore delle libertà “occidentali”. Per Paolo Flores D’Arcais, “Non è la guerra santa tra religioni, ma la guerra del Sacro con l’autonomos, il darsi da sè la legge, la sovranità di Homo sapiens su se stesso, che sostituisce in questi termini l’eterosnomos, la sovranità di Dio, come fonte di legittimità nel dettare gli ordinamenti, i valori, i diritti e i doveri di ciascuno“. (Un ragionamento che mi fa tornare in mente il concetto del “diritto divino” elaborato nei secoli per legittimare questo o quel monarca e l’istituzione della monarchia nel suo insieme).

Le conclusioni di FPDA sono di coerente ovvietà: la religione torni ad essere un fatto rigorosamente personale e privato. Il Sacro contro l’autonomos, le leggi degli dèi rispetto a quelle degli uomini, quindi. Chi decide per conto di chi? Il pensiero religioso o la comunità della Polis?

Infine, Habermas su Repubblica venerdì 27 marzo. Sconclusionato nelle forma (problemi di traduzione?) è di fatto una critica alle posizioni di chi la pensa come Flores D’Arcais: “bisogna andare oltre il fondamentalismo illuminista. Il rischio opposto a un secolarismo troppo rigido è un multiculturalismo altrettanto intransigente”, afferma il pensatore tedesco in quello che mi sembra un perfetto esempio di cerchio-bottismo se non di confusione tra aggredito e aggressore.

Già, la domanda ultima potrebbe essere questa: chi impedisce cosa a chi? chi obbliga chi ad essere cosa? (Il fatto che impedimenti ed obblighi siano manifestati esercitando la violenza, non mi sembra un dato secondario).

Non ricordo più chi affermava che puoi diventare Presidente degli Stati Uniti d’America anche se sei povero; è terribilmente difficile, ma non impossibile. Puoi diventarlo anche se sei divorziato; è abbastanza difficile, ma non impossibile. Puoi diventarlo anche se sei donna; difficile, ma potrebbe accadere tra due anni. Puoi diventarlo anche se sei nero; era difficile, ma è già ben due volte di fila. Ma se ti dichiari ateo, agnostico o più semplicemente indifferente, allora sì che diventa assolutamente impossibile.

Se la nazione meglio melting-pottata del pianeta, la più ricca, il luogo dove l’ascensore sociale funziona meglio (o meno peggio) continua a scrivere sulla sua carta moneta il motto “In God we trust”, cosa mai dobbiamo attenderci dai più ignoranti, poveri, disperati e privi di prospettive della Terra?