A conferma che il più importante contributo che è lecito attendendersi oggi da uno scrittore è la produzione di buon senso (che è un’altra cosa rispetto al filisteo senso comune) lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua (nome impegnativo in tutti i sensi) ha dichiarato: “I palestinesi non vogliono un califfato islamico e non hanno obiettivi religiosi estremi. Ciò che in definitiva chiedono è ciò che ha diritto ogni persona al mondo: essere cittadini nella propria patria. Questo dobbiamo darglielo, come chiede la maggioranza degli israeliani. Il problema è come realizzarlo”.
Parole sante. Questo è (dovrebbe essere) il ruolo morale e civile di un intellettuale. Il primo obiettivo di chi di mestiere “produce storie”.
La maggioranza degli israeliani, scrive Yehoshua. E implicitamente pensa, a ragione, “la maggioranza dei palestinesi”. Poichè la “maggioranza di tutto” (razza umana in tutte le forme, salse e colori) desidera vivere, possibilmente in pace.
La tragedia vera di questi due popoli così (spaventosamente) simili, è il disastro delle leadership che hanno espresso, da una parte e dall’altra, negli ultimi venti-trenta anni. L’unico sensato e coraggioso, Y. Rabin, se lo sono fumato in patria, si dice con la compiacente ignavia di chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Tra poco sarà nuovamente il Giorno della Memoria. Non facciamo l’ennesima confusione tra ebrei e israeliani talebani, per favore. I secondi, per quanto potenti, sono comunque un’infima minoranza.