Il post dedicato al tema della posizione assunta dal papa su aborto e eutanasia ha generato con mio grande stupore una quantità di commenti. Segno dell’importanza dell’argomento: Italo Calvino in proposito scriveva che “il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita e l’inevitabilità della morte”.
La maggioranza dei commenti – la quasi totalità a dire il vero – esprimeva stupore per le parole di Francesco ritenute sorprendenti e inattese (ma perchè poi?) e condivideva la mia tesi. Non si tratta della solita banda di volterriani mangiapreti, anzi. Molti dei quattro sfaccendati che bontà loro continuano a leggermi, crede in un qualche al di là; a modo loro, con tempi e forme assolutamente personali, in qualcosa o qualcuno credono. (Come dovrebbe essere manifestata la fede da credenti adulti e vaccinati, mi verrebbe da dire; ma non lo dico poiché il tema religioso mi interessa quanto interessava alla mia amica Hanna, bizzarra geniale ebrea che aveva il coraggio di mettere in discussione tutto e in primo luogo se stessa, al punto di voler bene persino a quella sconcezza di Heidegger. Cioè mi interessa zero punto zero, per intenderci. E’ la religione che si interessa a me, purtroppo. E continua a farlo mio malgrado da quando mi hanno imposto il battesimo senza chiedere la mia opinione e per giunta affibbiandomi un nome popolare in tutti i sensi).
I pochi commenti negativi, quelli che considero di norma rilevanti e benvenuti poichè costringono e aiutano a pensare, aciduli come il kvass russo (che non so bene che sapore abbia, ma mi piaceva tanto l’idea) e risentiti come se avessi parlato male di Garibaldi, come si diceva un tempo. (Karl Vossler, famoso filologo tedesco del secolo scorso, asseriva che “l’essenza del linguaggio sia da ricercare nella creatività dell’espressione individuale alla quale si aggiunge, ma solamente in un secondo tempo, l’accettazione sociale con le sue regole“. Quando il linguaggio e il tono si fanno biliosi e stizziti, vuol diire che si è davvero toccato un punto nevralgico e dolente).
Così, sul tema dell’aborto mi sono documentato un altro po’. Poco, chè l’argomento è noto e stucchevole come la storia dell’agnello e del lupo. Ebbene la situazione è così compromessa che si teme il ritorno alla clandestinità: i ricchi all’estero o nelle cliniche private; i poveri sul tavolo della mammana col ferro da golf. Sono obiettori il 69,6% dei ginecologi, il 47,5% degli anestesisti, il 45% del personale non medico. (Ovviamente al Sud la percentuale dei medici obiettori cresce sino a raggiungere l’80%. Scrivo “ovviamente” perché purtroppo è una triste ovvietà che il Sud si distingua – quasi sempre in peggio – dal Nord; percentuale bulgara che spero nessuno riterrà generata da un “senso spirituale” maggiormente sviluppato nel Meridione…).
Ergo, se nessuno vuol fare il “lavoro sporco”, un diritto sancito dalla legge (tristissimo diritto!) viene di fatto negato. Il buffo è, ma gli integralisti fanno finta di non capirlo, che nessuno obbliga nessuno: non ad abortire e neppure a determinare il proprio fine vita. Nessun medico favorevole all’aborto obbligherà mai nessuno ad abortire; viceversa un obiettore nega di fatto questa libertà ad un altra persona. E’ la distinzione, non così difficile suvvia, delle due libertà secondo I. Berlin tanto cara a noi liberali: liberi di e liberi da. (Renzi recentemente ha pure aggiunto un ridondante “liberi per”, ma non ditelo a Scalfari).
Gli integralisti non capiscono (non vogliono capire) che il loro atteggiamento è identico a quello dei talebani che burcano madri, mogli, figlie e sorelle; degli chassidim ortodossi d’Israele che non vogliono dividere l’autobus con le donne; di chiunque trasformi il proprio precetto religioso in legge alla quale si debbono adeguare tutti gli altri. Di modo che il peccato possa serenamente trasformarsi in reato: nelle società teocratiche, ma anche nel libero (liberato e liberale) Occidente.
Dobbiamo forse tornare alla regola “cuius regio, eius religio”? I volenterosi tagliagole dell’Isis ci stanno provando. Noi in Europa abbiamo impiegato qualche secolo di lacrime e sangue prima che l’idea di laicità dello Stato s’imponesse come la più sensata e la più rispettosa. Di tutti: minoranze e maggioranze.
Infine, ultimo ma non ultimo, sommessamente ricordo che solo lo studio e la ricerca figlie del dubbio critico conducono da qualche parte al di là dei muri. Si leggano le pagine – immagino quanto sofferte – di Hans Kung in tema di fine vita e libertà di coscienza. (By the way, Kung è un teologo, per alcuni il più grande teologo vivente, non il solito anticlericale da parrocchietta).