La vera arte non va mai spiegazzata. Credo fosse di Linus la battuta magistrale in una delle strisce se possibile più magistrali delle altre del grande Schulz. A partire dal Van Gogh appeso giusto davanti al biliardo nella cuccia di Snoopy, i Peantus sono pieni di riferimenti all’arte e al tema dell’arte nella vita di ciascuno di noi, come sa bene Lucy Van Pelt quando tenta inutilmente di attirare l’attenzione di Schroeder, il piccolo pianista seguace di Beethoven.
Ma qual è la vera arte, e come distinguerla da quella finta senza tema di incorrere in errori ed omissioni? Quesito per nulla astratto che, dopo quanto è accaduto alla rassegna di arte contemporanea “Display Mediating Landscape” a Bari, non riguarda più solo i perditempo o gli studiosi di estetica. L’assassino questa volta non è il maggiordomo, ma la donna delle pulizie che “in un eccesso di zelo” raccontano le cronache (compiendo il suo mestiere mi viene da pensare) ha raccolto alcuni cartoni contenenti le opere (prodotte con materiali “essenziali e quotidiani”) e le ha consegnate direttamente al camioncino dei rifiuti che in quel momento, ore cinque del mattino, stava passando tra i vicoli di Bari vecchia per svuotare i bidoni della spazzatura.
Dramma di vaste proporzioni alla riapertura della sala: “gli allestitori hanno subito notato la mancanza di diversi oggetti, tra i quali anche i biscotti utilizzati per una installazione”. Pare che in discarica siano finite opere per un valore di circa diecimila euro. Sempre le cronache riportano che “la donna delle pulizie si è giustificata parlando di semplici cartoni con imballaggi trovati in un angolo della sala. La donna ha persino appoggiato un martello su un’altra opera… causando la rottura di uno dei biscotti installati. Si suppone che al macero potrebbero essere finite anche altre opere d’arte”.
Cartoni, “materiali essenziali”, biscotti. Due considerazioni. L’arte non è più la stessa, e pure da un pezzo: vi figurate una colf in epoca egizia gettare nel Nilo un bassorilievo con geroglifici, o lo scaccino della chiesa che fa la differenziata con un’Annunciazione di Filippino Lippi? Il linguaggio artistico è divenuto come la fisica quantistica, anti-intuitivo e totalmente avulso dal comune sentire. Non comprendiamo più, e non comprendendo non riconosciamo. E infine non riconoscendo, non attribuiamo (valore, dignità, appartenenza). E’ vera scienza, è vera arte o mi stanno turlupinando prendendosi gioco di me? E il valore (dicimila, centomila, un milione, cento milioni) chi lo stabilisce? Il mercante, il mercato, la bolla speculativa?
Un tempo le vetrate delle cattedrali servivano a raccontare i Vangeli a un popolo di bravi credenti analfabeta, e le magnificenze delle pitture di corte a celebrare la grandezza di regni e dinastie. Tuttavia, l’arte come la scienza è per definizione una “pratica provocatoria” che assiomaticamente ci pone sempre nuovi interrogativi proponendoci la rappresentazione di modi nuovi e diversi di leggere la realtà, se non addirittura di nuovi mondi. L’arte trascende la realtà, oltre a rappresentarla, altrimenti non sarebbe arte ma decoro. L’arte è come il peperoncino, se non urtica è di plastica oppure svanito come i sogni il mattino. L’arte è ogni volta sorpresa, eccitazione, scoperta, mistero, passione e straniamento. (Come l’amore, largo circa).
Quando è “vera arte”, beninteso. Distinguerla (da quella farlocca) è come saper assaggiare il vino: non tutte le annate sono eccellenti, non tutte le zone sono fruttifere, non tutti i vitigni sono adeguati, non tutti i vigneron sono capaci. Non tutte le bocche sono educate e sapienti. L’arte presuppone e pretende il mestiere della distinzione? Assolutamente sì.
La seconda considerazione, fatta salva la spontanea solidarietà nei confronti dell’alacre signora delle pulizie (avercene) è di ammirazione per la città di Bari: non si venga più a dire che al Sud i servizi di nettezza urbana latitano.