Dobbiamo essere grati a Caterina Simonsen per molte ragioni. La sua vicenda diventando la nostra ci costringe a riflettere su due fenomeni strettamente correlati: il rifugio nel pensiero magico e il timore per tutto ciò che, anche lontanamente, profuma di scienza.
Questa mattina ascoltavo a radio Capital l’intervista alla ricercatrice di Genova malata di sclerosi multipla; con garbo e senza alcuna animosità nei confronti di Caterina, argomentava l’inutilità della sperimentazione sugli animali sostenendo la necessità di personalizzare in massimo grado le terapie, punto d’arrivo questo a cui tende la medicina moderna sfruttando le differenze genetiche per comprendere il funzionamento delle malattie negli esseri umani. Una tesi, va ricordato, sostenuta da tempo da tutta la comunità scientifica. Il punto di discordanza riguarda quindi l’inutilità e la pericolosità della sperimentazione su animali; non a caso la posizione dell’intervista è stata diffusa dalla Federazione Italiana Associazioni diritti animali.
Non essendo né medico né biologo e neppure un farmacologo, non entro nel merito delle sue affermazioni: alimentare il “dibattito” con gli incompetenti è una pessima abitudine nel nostro paese. Quel che invece mi sono suonate note sino alla familiarità sono le argomentazioni in risposta ad una obiezione – ovvia sino alla banalità – avanzata del conduttore circa la condivisione di pressocchè tutta la comunità scientifica mondiale sulla necessità della sperimentazione su animali.
La ricercatrice di Genova (mi scuso ma non ne ricordo il nome) ha risposto affermando che anche Galileo era solo quando il resto del mondo continuava a credere che fosse il Sole a ruotare attorno alla Terra. E qui la faccenda diventa francamente scabrosa perché quando si tira in ballo il povero Galileo succedono (quasi sempre) cose interessanti:
- parlare di Galileo significa ragionare sul metodo
- parlare di Galileo significa uscire dai tecnicismi che, inevitabilmente, restingono il campo agli specialisti, per entrare nell’ambito di una disciplina alla portata di chiunque sappia (e voglia) studiare un po’ di storia: l’epistemologia.
In breve: Galileo era sì il solo (o meglio: tra i pochissimi) a sostenere che fosse la Terra a girare attorno al Sole e non viceversa. Ma lo sosteneva attraverso l’osservazione scientifica della natura, mentre tutti gli altri (tutto il mondo “scientifico” di allora) si atteneva alla lettura della Bibbia e alle fesserie astronomiche di Aristotele & Company che allora erano verità indiscutibili perchè verità di fede. Come è noto, metterle in discussione significava (letteralmente) rischiare la vita.
Per nostra fortuna il mondo Occidentale si è liberato dal dominio delle teologie, almeno per quanto riguarda la ricerca scientifica. Migliaia, centinaia di migliaia di ricercatori, competono quotidianamente in laboratori, centri di ricerca, università per conseguire nuova conoscenza scientifica. Motivati dalla sacrosanta ambizione di eccellere, da motivi economici (la ricerca produce ricchezza!) o da entrambi. Una competizione serrata, senza tregua, a volte addirittura feroce, per essere i primi, i migliori, gli uomini del Nobel.
Possibile che tutti, in ogni centro di ricerca nel mondo, diano vita consapevolmente all’ennesima “congiura mondiale” negando l’evidenza e continuando a praticare gli inutili, costosi e persino dannosi protocolli di ricerca che prevedono la sperimentazione sugli animali? Non è invece più sensato pensare che, nonostante limiti e costi, la sperimentazione sugli animali è, per il momento almeno, inevitabile prima di testare i farmaci sull’uomo?
Parlare di Galileo (e quindi di metodo) significa anche parlare della nostra storia e del nostro declino. Sino ai primi anni del ‘600 la lingua per comunicare con gli eruditi in tutta Europa era il latino, ben presto sostituita dal francese. Le ragioni? Le solite: geo-politiche, economiche, militari. Le stesse che hanno fatto sì che dalla metà dell’Ottocento in poi la lingua universale dei commerci, degli affari e della scienza diventasse l’inglese della Gran Bretagna prima, degli USA poi.
Il declino della povera Italia, divisa in corti e corticciuole e dominata da francesi e spagnoli, coincide anche con la Controriforma, il periodo più buio nella storia della Chiesa. Da quella botta non ci siamo più ripresi. Nonostante la straordinaria eccellenza di alcune scuole scientifiche italiane, basti pensare alla grande tradizione degli studi matematico-fisici, noi restiamo l’Italietta dell’idealismo crociano, dei programmi scolastici che aborrono la parola “scienza”, il paese dove più vasto è il fossato che separa il sapere umanistico da quello scientifico, il paese dove l’analfabetismo di ritorno mette a dura prova la tenuta stessa della democrazia.
Noi siamo la terra del pensiero magico abitata da maghi, indovini, lettori di fondi di caffè, pranoterapisti, santoni e guaritori; e come se non bastassero i ciarlatani da strapaese, periodicamente ogni dieci-quindici anni, spuntano i venditori di miracoli, i Bonifacio, i Di Bella, e oggi i Vanoni che – in buona o cattiva fede – promettono la guarigione a malati non si sa se più disperati o ignoranti. Alla disperazione e all’ignoranza la scienza può solo rispondere provando spingendo il limite un poco più in là, mentre la magia per definizione non ha né limiti né misura.
Della scienza, del “fare scienza”, non abbiamo bisogno solo per curare le nostre malattie e quelle dei nostri figli. La scienza è garanzia di ricchezza e di libertà. Senza scienza si ritorna in fretta dove eravamo ai primi del ‘900: un paese di contadini poveri e analfabeti. Senza scienza e senza pensiero scientifico si è preda dei miti, delle fole, delle menzogne vestite da leggenda. Senza scienza si è preda del razzismo, della violenza, della cecità.
Chi sa di scienza, chi pratica il dubbio critico, chi non si accontenta della prima risposta, è di norma un cittadino migliore: più rispettoso di sé e degli altri, più tollerante, più consapevole dei propri diritti e dei doveri, meno disposto a credere alle baggianate dei Pifferai che calcano il teatro della politica, consapevole di vivere per un breve attimo su di un piccolo insignificante granello di polvere nell’immensità.
Una brutta storia quella di Caterina? Penso di no. Grazie a lei, al suo coraggio, alla sua meravigliosa assenza di cinismo – la più fatale delle malattie – alcune persone che fanno ricerca si sono date da fare: se volete univirvi a loro in difesa del pensiero scientifico le trovate su Facebook nel gruppo “Io sto con Caterina Simonsen”. La cosa più bella è che sono – finalmente ! – giovani. (Che sia giunto anche il momento di riappropriarci del grido “Forza Italia”?)