The time they are a changin

By on Mar 12, 2018 in Contemporaneità

Prendo lo spunto da un cambiamento personale, l’abbandono di una casa vissuta per 22 anni, per tradire la promessa fatta a me stesso la sera del 4 marzo: non parlare più di politica.

Chiunque abbia fatto un trasloco in vita sua, anche uno solo, sa bene che si tratta di una fatica che al confronto quelle di Eracle sono pippe. Il bello dei traslochi è che sei costretto a decidere cosa conta e cosa no. Specialmente se la casa destinata ad accoglierti è già formata di suo. Devi fare ordine nella memoria fisica della tua vita. Devi decidere la gerarchia degli oggetti, e con essa degli affetti prim’ancora delle funzioni. I libri che potrai portare non saranno tutti: cosa tieni, cosa lasci, cosa regali, cosa butti? (e con essi i piatti, i bicchieri, gli asciugamani, le pentole, le posate, i quadri, le piante…).

Un’amara e sagace barzelletta ebraica spiega perchè tra il popolo del Libro i violinisti abbondino rispetto ai pianisti; quando è in gioco la sopravvivenza l’importante è fuggire il più leggeri possibile, e leggerezza fa sempre rima con velocità. Mi domando se il cambiamento possa essere anche una fuga; in tema di cambiamento so da un pezzo che posso cambiare casa e cambiare vita; e so anche che posso cambiare persino modo di pensare: del resto da quando sono nato non faccio altro, sia pure con lentezza esasperante. Adesso, nel senso di qui e ora, pare che il panorama politico sia totalmente mutato. Eppure a me continua a sembrare uguale a se stesso: un paese conservatore eravamo, un paese conservatore restiamo. Con punte di ferocia sdoganate dalla paura che non c’è più, quella “brutta figura” che in passato impediva alle persone di snocciolare in pubblico i loro veri sentimenti: hanno sparato al negro? Ma siamo matti? E se colpivano noi?!?! (nel senso di “noi bianchi”). Cambiamento? Non siamo diversi da venti, trenta anni fa, siamo quelli di allora e di sempre, mai stati “italiani brava gente” se non nella retorica del dopo guerra quando era necessario prendere le distanze dall’alleato tedesco.

Strano paese il nostro: si calcolano siano centinaia di migliaia i volontari della solidarietà (la Lombardia è al primo posto). Non oso però dire che pareggiano i seguaci di CasaPound, temo che questi ultimi siano parecchi di più; stranissimo paese il nostro: i giovani vogliono l’Europa dell’Erasmus ma schifano la politica e (forse) non vanno neppure a votare. E qui mi fermo, di politica nel senso di schieramenti ho promesso di non parlare più.

La cosa più divertente, l’ultima in senso temporale, è la colpa. Distribuita o genericamente alla “sinistra” o più direttamente al segretario fiorentino trattato ormai peggio di uno stalker. E’ colpa della sinistra che non sa (non saprebbe, non ha mai saputo?) parlare alla “ggente”. Elitaria, radical-chic, stronza e settaria: al festival dell’agnolotto fritto preferisce quello di Salisburgo. Punita nella sua arroganza dal “suo” popolo che l’ha abbandonata in luogo dei 5S, della Lega o di entrambi. Lasciata anche dagli operai e dalla gente di periferia. (Ma a loro, a quelli della carta stampata e dalle pagine dei social, è inutile ricordare che anche in Germania nel ’33 gli operai comunisti sostennero in massa il partito nazi, come pure accade oggi anche in Francia con la Le Pen: insato dire signora mia non c’è più la classe operaia d’una volta)

Tornando al cambiamento, di casa, abitudini e casacca, molto si può e più ancora si deve: le storie d’amore finiscono sempre, l’amore non finisce mai (questa non è mia: l’ho letta non ricordo dove e ringrazio l’autore sconosciuto). Quello che invece non cambia sono i valori, le cose su cui poggiano le fondamenta, e che a ben vedere sono le fondamenta stesse: il dubbio critico, la consapevolezza di non sapere che muove alla ricerca, la curiosità intellettuale per il nuovo e il diverso, il far parte sempre per il più debole.Tutto il resto è come una casa dove non vuoi più abitare, la si guarda con malinconia e con affetto senza che ciò ci impedisca dal chiudere la porta e non tornare più.

Chi non cambia muore, ma anche chi cambia a casaccio non fa una bella fine, principio che vale per la sinistra come per tutti noi. Diciamo che dopo la storica e l’extra-parlamentare mi è venuta voglia di rifugiarmi nella sinistralirica. A onor del vero è un poco ambigua, ma in fondo non più della vita.

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