Riforme

By on Feb 2, 2018 in Contemporaneità

Un esponente politico francese, definito “cattolico di destra”, divenuto ministro dell’istruzione di Macronlandia prova a riformare la scuola francese. In classe senza telefonino e con la divisa; un dettato al giorno; nessuna paura di valutare con severità e, se è il caso, bocciare; insegnamento del latino e del greco; massimo 12 alunni in ogni classe delle elementari, sono alcuni punti della riforma. Macron l’aveva scritto nel suo programma: è indispensabile invertire la tendenza che vede la Francia in calo nella comparazione effettuata dall’Ocse. La scuola, la buona scuola, è il futuro di ogni paese.

Fortunato il paese che non ha bisogno di eroi scriveva il povero Bertolt Brecht; fortunato il paese, aggiungo io che sono molto più povero di lui, che ha saputo darsi un sistema elettorale che consente al vincitore di governare per davvero e subito. Fortunata la Francia che, sconfitto il fascio-populismo, ha eletto un Re repubblicano, trasgressivo e temerario sino alla sfrontatezza, un tipetto laureato in filosofia che vuole riformare un paese incatramato come e più del nostro che, come se non bastasse, porta a casa miliardate di commesse industriali.

Anche noi avremmo bisogno di riformare la scuola. A partire dagli insegnati, che andrebbero selezionati come stalloni da riproduzione e pagati come calciatori di serie A. La riforma della riforme, quella con cui dovrà fare i conti anche Macron, tuttavia è un’altra: riguarda la testa dei genitori che si battono per la promozione invece che per la formazione dei loro figliolini. Riforma impossibile, sostiene il mio amico edicolante, da quarant’anni allenatore di calcio dei bambini. La sua squadra ideale? Composta da orfani.

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