Il funerale fu celebrato il pomeriggio del 6 settembre 1997. Si contarono 3 milioni di persone per le strade di Londra. Trasmesso in diretta, fu seguito in tutto il mondo da oltre due miliardi di spettatori, “uno degli eventi televisivi più visti della storia”.
In quei giorni pareva che la centenaria dinastia dei Sassonia-Coburgo-Gotha, nome mutato in Windsor dopo la prima guerra mondiale per stemperare la non più gradita origine tedesca, stesse per crollare. Sotto l’urto dei sentimenti espressi dal popolo inglese, parve vacillare persino la proverbiale fermezza della Regina, la cui freddezza manifestata in occasione della morte della nuora fu ritenuta un crimine. La “regina del popolo” – così si definì in una celebre intervista Diana Spencer, dava scacco matto alla regina dell’istituzione. Fine della monarchia in Gran Bretagna? Così parve a più di un commentatore travolto dallo spettacolo incessante di fiori, lacrime e candele.
Passano poco più di due mesi e il 21 novembre Elisabetta e Filippo festeggiano le nozze d’oro nella Cattedrale di Westminster in un tripudio di popolo festante. Evidentemente tutto passa, tutto si dimentica, tutto viene perdonato, le colpe vere come quelle presunte, persino nella patria della Magna Charta Libertatum, la nazione di più antica democrazia liberale. (Non oso pensare a cosa sarebbe accaduto a noi poveri abitanti della terra dei cachi se nel lontano 1945 non fosse intervenuto il commando partigiano che su diretta ispirazione di Sandro Pertini decise le sorti del duce del fascismo).
Forse la volubilità delle masse popolari è un male necessario e in qualche modo salvifico. Un apparato neuronale che difende dalle delusioni e rende disponibili energie per impegni futuri; tuttavia non mi è possibile scordare il monito di Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo”.