Ascolto molto volentieri gli editoriali sonori che Maurizio Molinari, il direttore de “La Stampa”, pubblica regolarmente sul sito del giornale. Sono, insieme alle opinioni calcistiche di Giovanni De Luna raffinato storico dell’età contemporanea e tifoso juventinissimo, tra i pochi contenuti di qualità ancora gratuiti. Ancora per poco temo, chè la gratuità del web sta per sparire come la fede in Babbo Natale la notte che i bimbi sorpresero il nonno depositare i doni.
L’ultimo riguardava una ricerca compiuta dall’MIT in associazione con l’Università di Utrecht: robot e posti di lavoro Un tema, diciamo la verità, non proprio freschissimo; periodicamente un po’ tutte le testate, cartacee e non, intingono il biscotto come si diceva una volta cercando di offrire conforto o, a seconda del posizionamento, di apparecchiare la zuppa quotidiana di ansie, nemici e paure. Il risultato della ricerca condotta dai prestigiosi istituti è questa volta sorprendente per una duplice ragione: la novità degli esiti e l’ovvietà delle conseguenze ultime.
Lo scenario nuovo è che l’automazione industriale, i robot che sostituiscono gli umani, pare comporti un saldo finale positivo nel bilancio dei posti di lavoro distrutti/creati; se confermato, un fatto balsamico come la crema dopo sole dopo una giornata al mare. Alla consolazione segue tuttavia l’ovvietà sgradita: i nuovi posti di lavoro riguardano mansioni che alzano l’asticella dei saperi e delle competenze; il che si traduce in meno badilanti sulle linee di montaggio e più tecnici, revisori di processo e controllori della qualità. Un’evidenza insomma degna del grande Catalano di “Quelli della notte”, pensatore in grado di produrre proposizioni incontrovertibile coerenza logica del tipo “è meglio una moglie giovane bella e ricca di una vecchia brutta e povera”.
Questa notizia, meravigliosa per Tel Aviv, Berlino, Boston e Uppsala, dove il capitale intellettuale è coccolato più dell’uranio arricchito, è un po’ meno gradevole per Busto Arsizio, Platì e Frosinone, le piccole patrie sparse dove pascolano giovinotti che (dati Ocse) non amano studiare e, purtroppo per loro e per chi li ha sul groppone, nemmeno cercano di inventarsi un lavoro.
In un futuro talmente prossimo che praticamente è già oggi, avremo bisogno di laureati, molti di più di quelli che produciamo, per sostenere con un welfare umano e solidale i tanti onesti manovali che la robotica piano piano (ma non tanto) sostituisce; persone capaci e laboriose che molto difficilmente, come blaterava tempo fa qualche politico, hanno la capacità e la voglia di mettersi a studiare a cinquant’anni per darsi una “nuova formazione”: studiare di norma è un mestiere che s’impara da piccoli, oppure mai più.
In questo panorama di desolazione prossima ventura, un’altra sciagura si affaccia all’orizzonte. Giusto perché non esistono priorità prioritarie (politica industriale, innovazione tecnologica, ricerca scientifica, razionalizzazione della spesa pubblica, riduzione del debito, trasporti e infrastrutture, banda larga, lotta alla corruzione…) il nuovo grande progetto a cui si lavora è la chiusura domenicale. Uno scherzo capace di seccare cinquantamila posti di lavoro con un solo tratto di penna. Roba che neanche l’arrivo di UFO Robot in fabbrica.