Amici miei

By on Giu 12, 2018 in Contemporaneità

Leggo i commenti dei quotidiani e le opinioni degli amici in rete riguardo alla nave “dirottata” in Spagna. Non riesco a trattenere la sorpresa e lo sgomento. Per me contano molto più le seconde dei primi: gli amici non hanno editori a cui rispondere né ordini di scuderia da seguire.

Lo sgomento è per la puntuale riedizione di storie vecchie e schifose: negli anni ’30 erano gli ebrei quelli che cercavano una via di fuga; oggi tocca ai siriani e ai nord-africani.

Lo stupore nasce dalle prese di posizione di chi, come ad esempio Marione Calabresi, sventola come fosse una propria bandiera la scelta spagnola usandola per ammannire l’ennesima lezione alla “sinistra” italiana: ecco vedete, loro sì che sanno fare i “socialisti”.

Lo stupore, se possibile ancora maggiore, nasce anche dai commenti degli amici di rete, persone che a differenza dei professioni della notizia scrivono in buona e buonissima fede e non hanno interessi di bottega. Mi domando dove vivano queste persone, in quale paese. Che strade attraversino, dove facciano la spesa, con chi barattino qualche parola, se qualche volta fanno la coda in un ufficio postale o alla cassa del supermercato.

Il paese che purtroppo ascolto esulta alla notizia che la nave sia stata accolta in un porto spagnolo. Non per spirito umanitario: che se li prendano loro, noi ne abbiamo già troppi, uno dei commenti più garbati. A queste persone, la stra-grande maggioranza, non interessa nulla delle motivazioni “socialiste” del premier spagnolo, né della sorte di quei disgraziati e neppure degli altri che verranno. Li vogliono semplicemente fuori dalle balle. Hanno paura quando alle cinque del pomeriggio nordafricani neri come il carbone si ammassano nei pressi della stazione a Brescia; sono infastiditi all’idea che la bielorussa comprenda le nostre parole mentre noi non comprendiamo le sue: mi fa sentire straniera a casa mia, dicono. Non credono alle statistiche che dimostrano come il nostro paese accoga molti meno migranti degli altri in rapporto al numero di abitanti. Per loro non conta la parola di Cristo e neppure le evidenze della statistica, né col Vangelo né coi numeri ci potrai ragionare.

Sono, siamo, diventati razzisti? O forse lo siamo sempre stati sotto la crosta sottile della piccola civiltà conquistata negli ultimi cinquant’anni?

Io so di non sapere quasi nulla. Nulla del tutto no, era un trucco retorico che ha portato parecchia sfiga all’autore. Quello che so è che se da venditore vuoi convincere un cliente che la macchina che ha acquistato è una vera merda, non è proprio il caso di dirglielo. Lui lo sa come lo sai tu. Difenderà la sua scelta che è poi la sua faccia, la sola che ha, alla morte. (“Davvero un’ottima scelta, complimenti! Certo che se volesse spendere di meno in manutenzione… etc etc”). Come è inutile dare del razzista o del fascista a chi ha paura. Si sente minacciato. Non riconosce i posti dove è nato. Ha paura di essere travolto, spazzato via dopo essere stato per dieci anni nel carpione di una crisi durissima. Serve solo a farti passare per sciocco o sprovveduto, il coglione “buonista” che non vede la casa che brucia.

Amici miei, lontani e vicini, di matita e di elettronica, qui si tratta di ripartire da zero, dall’abechede. Un lavoro di alfabetizzazione totale. I primi che devono re-imparare nuovamente a leggere e scrivere siamo noi, quelli che si sono così tanto allontanati dal paese reale da non riconoscerlo più. Vasto programma, come diceva quel generale allampanato, il conservatore con venature reazionarie che seppe lui solo compiere le scelte che ai coraggiosi progressisti manco per la capa, come dire ciao all’Algeria e finalmente voltare pagina. (Chapeau).index