La mamma è stanca

By on Ott 4, 2018 in Contemporaneità

Non accade molto spesso, ma quando capita è confortante. Ero al telefono con M. l’altro giorno, piccolo miracolo gentilmente offerto da whatsup. Lei, dopo un lungo tira e molla tra Chicago e Milano, adesso sta a Indianapolis. E’ italianissima, se possibile più di me e di voi (è nata a Bari-Bari come tengono a precisare nel capoluogo pugliese) ed ha sposato l’americano con cui ha fatto la serie infinita di anda e rianda attraverso l’Atlantico; ma si sa che gli americani come i pugliesi non hanno problemi con i traslochi.

I problemi li hanno invece nella capitale dello stato dell’Indiana. No, niente sparatorie per ora, ma tanta noia. La città, 800 mila abitanti, è la 13° più popolosa della nazione il che conferma ammesso che ce ne fosse bisogno che gli States sono un continente fatto di immensi spazi punteggiati da piccole città. Noia da provincialismo, che negli USA significa innanzitutto diffidenza. Sai, mi spiega M., è cambiata la percezione che hanno di noi italiani, non siamo più gli emigranti con le pezze al culo, ora ci considerano europei. E ci trovano strani perché difficili. Noi europei per loro siamo un’altra razza, complessa e sofisticata, di cui (appunto) è meglio diffidare. Lascia stare New York, L.A., Chicago, Seattle o San Francisco. L’America vera è questa: semplificatrice, provinciale e (spesso) rozza. Per questo, conclude M., nostro figlio R. – doppio passaporto, perfettamente bilingue, studi universitari in Italia, bel ragazzo occhi verdi cittadino del mondo – suscita disagio, perplessità, insicurezza: meglio dare lavoro ad uno di qui, dicono, nato qui, che come noi, vivrà qui.

Non accade molto spesso che le opinioni di tipetti come Stiglitz, di Krugman, Nobel per l’economia, coincidano con quelle di una tua compagna di banco; che il malessere di M. sia condiviso e denunciato da guru come Chomsky che da tempo avverte del pericolo: l’America vota Trump perché su certe cose l’America è Trump, e non c’è gran differenza tra democratici e repubblicani. Una di queste è l’isolazionismo, il tirare giù la cler come diciamo a Milano, il volersi occuparsi solo dei “fatti propri”. E’ un pendolo, suggeriscono gli storici delle idee. Accade con regolarità. L’ultima volta è accaduto tra le due guerre. Gli USA non ne volevano sapere dei cazzi di noi europei. Nonostante un presidente come Roosevelt sinceramente preoccupato per le sorti della democrazia, senza la follia del Tora-Tora giapponese col fischio che sarebbero intervenuti. Meglio andarsene al cinema con coca-cola e pop corn in mano.

Cara, buona vecchia Europa, il continente più comodo e materno in cui nascere e vivere (per ora). La madre di tutte le cose profonde e interessanti inventate negli ultimi 2000 anni: le piazze, i caffè, la filosofia, i giornali, lo struscio sui boulevard, l’arte, le librerie, i ristoranti, il romanzo, la democrazia, il motore a scoppio, gli spaghetti alla carbonara, il calcio, il paesaggio, il cinema, l’alpinismo, la musica, l’erotismo e la carta igienica doppio velo. Tutte cose che la giovane e marziale America ha perfezionato, volgarizzato, industrializzato e scopiazzato al punto di crederle sue, come la pizza e il caffè. Che accadrà all’idea di Occidente (parola terrificante che deriva dal latino obcidere, tramontare) se la cara, buona vecchia Europa riuscirà a suicidarsi e la giovane e riluttante America lascia spazio agli Imperi del Male?

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