Più di un amico si è stupito della mia tiepidità per il Mondiale di calcio. Non sai cosa ti perdi, proprio tu che sei un tifoso accanito, mi dicono. Proprio questo il punto. Non posso guardare una partita di tennis, una gara di moto GP (ma pure un torneo di moscacieca se esistessero) se non mi schiero. Figurarsi il calcio, arte che richiede concentrazione paziente in attesa che si compia il miracolo: lo scambio, lo schema, il dribbling, la prodezza balistica, il cross, il tiro e – forse – il goal. Tutto il resto, le menate, le meline, il ti-tic-ti-toc, i falli tattici, gli errori di mira, i passaggi sbagliati, le sceneggiate alla Neymar (un marchio di garanzia) sono la noia che, come in un lungo sfinente preliminare amoroso, separa la transizione di fase che conduce dalla normalità all’estasi. E fateci caso anche il linguaggio, – fallo, penetrazione, sfondamento, percussione, punizione… è eminentemente erotico, per non parlare del goal: la violazione della porta avversaria è un’ordalia, uno stupro di gruppo, la rappresentazione simbolica del millenario diritto di saccheggio e violenza da parte delle truppe mercenarie vittoriose.
Di conseguenza senza tifo, senza partecipazione erotica come la intendeva Platone, la noia è insopprimibile. Ma in questo Mondiale per chi tifare? La sciagurata Italietta non gioca, l’Islanda – il paese che non ha mai fatto la guerra (a parte quella del merluzzo con l’Inghilterra) terra civile, tollerante, gentile e democratica – è stata fatta fuori in un amen; le squadre africane che non riescono mai ad avere nello stesso spazio/tempo grandi giocatori e buoni allenatori e viceversa, sono finite rapidamente nel tritatutto. Non potendo schierami, non potendo tifare e non praticando il voyerismo dei suiveur che guardano giocare l’Iran o il Giappone con lo stesso interesse, mi limito a sbirciare i risultati sul cellulare, godendo maligno per questa o per quella dipartita (fuori la Germania, fuori l’Argentina, fuori il Brasile, wow!).
Bene, adesso che ho raccontato le mie pippe, parliamo di cose sere. L’aspetto insopportabile dei Mondiali si manifesta inevitabilmente in ogni edizione; questa volta più del solito: sono le sceneggiate nazionaliste, le “rivincite” dei torti – veri o presunti – subiti nel corso della storia. I polacchi e gli ucraini contro i russi; questi ultimi contro i tedeschi; gli irlandesi contro gli inglesi; i croati contro gli slavi e (forse) il resto del mondo; gli argentini contro i brasiliani, i brasiliani contro il fatto di non essere sempre e comunque i primi (eccetera eccetera) ognuno con la sua bandiera, il suo inno, la sua strombazzata identità, le sue sbornie, le sue risse e le inevitabili (inevitabili?) manipolazioni politiche. Una tristezza non so se più cupa o più pericolosa: il nazionalismo è l’ostetrica di tutti i mali e il peggior nemico del calcio, quello vero. Quello che si gioca e basta.